Essere un’impresa, muoversi come un’impresa ma conseguire obiettivi di interesse pubblico. È questa la vocazione e la missione delle imprese culturali, strettamente connesse alla gestione dei luoghi di cultura, nella gran parte di emanazione pubblica ma affidati a soggetti giuridicamente privati. Le imprese culturali, così pensate e gestite, coltivano in sé pure la capacità di generare coesione sociale. Questa particolare natura le rende meritevoli, al pari proprio delle imprese sociali, di “un alleggerimento del peso fiscale, perché è interesse pubblico che la gestione, la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale funzionino”. Ne è convinto Claudio Bocci, direttore di Federculture, che conversando con AgCult introduce i temi che saranno al centro della prima Conferenza Nazionale dell’Impresa Culturale, in programma all’Auditorium Parco del Castello de L’Aquila mercoledì 5 luglio.
Federculture, insieme ad AGIS, Alleanza Cooperative Italiane Turismo e Beni culturali e Forum Nazionale del Terzo Settore (ai quali si sono affiancati anche il WWF e il FAI-Fondo Ambiente Italiano) ha organizzato nella città colpita dal terremoto nell’aprile 2009 una giornata di incontro/confronto attraverso tavoli di lavoro tematici che produrranno un documento di proposta finale condiviso e sottoscritto da tutti i partecipanti. A L’Aquila verrà anche lanciata “l’idea della scuola di governo per lo sviluppo locale a base culturale. Se la cultura è un fattore costitutivo dello sviluppo – sottolinea Bocci -, noi pensiamo che la cultura debba essere la piattaforma strategica di ripensamento di un territorio”.
La sfida del 5 luglio, spiega Bocci, sarà fare in modo che le politiche pubbliche e il sistema delle imprese “pongano attenzione al fatto che laddove si introduce cultura di gestione in chiave di servizio pubblico, si verificano le condizioni per un ecosistema in cui anche l’impresa che fa profit beneficia dell’attrattore culturale gestito con efficienza, qualità e partecipazione”. E dove c’è questo tipo di gestione si determina una qualità dell’offerta culturale “che incontra la domanda dei turisti e dei cittadini”.
Fare impresa nella cultura è proprio il perfezionamento di quel percorso che tiene insieme tutela, salvaguardia e valorizzazione. E che appunto consiste in una gestione ben programmata del patrimonio culturale. “L’anello mancante tra tutela e valorizzazione – ragiona il direttore di Federculture – è la cultura di gestione. Si può e si deve fare impresa anche nel settore della cultura, proprio perché fare impresa con finalità di interesse generale è l’elemento che mette in moto lo sviluppo. È questa la ‘metafinalità’ della conferenza de L’Aquila”.
L’impresa culturale come l’impresa sociale?
Recentissimamente il governo ha definito nella riforma del Terzo Settore le caratteristiche dell’impresa sociale. In questo modo, anche nel sociale si è legittimato pienamente il concetto di impresa. “Tale concetto di fare impresa nel sociale – ragiona Bocci -, andrebbe esteso e codificato anche per l’impresa culturale che con grandi sforzi cerca di restare in equilibrio di bilancio. Pur certo consapevoli che la cultura non fa business, ‘fa’ altre cose”. La committenza pubblica deve assegnare un impegno all’impresa culturale che è da un lato quello di essere massimamente sostenibile e dall’altro quello di avere una missione che ha molto a che fare con il conseguimento di obiettivi sociali. Questo fa la cultura”.
Come misurare il conseguimento dell’obiettivo sociale?
Si pone il tema dell’accountability dell’impresa culturale. “Occorre individuare, rispetto ad obiettivi precisi che la committenza pubblica definisce quando costituisce l’impresa culturale, elementi di carattere sociale su cui l’impresa possa essere misurata, vale a dire la capacità di realizzare coesione sociale. Tuttavia al momento – ammette Bocci -, è difficilmente misurabile il grado di coesione sociale generato da un’impresa culturale. Ma confidiamo di trovare presto una soluzione”.
Impresa culturale e impresa creativa
Le imprese culturali con questo atteggiamento “imprenditivo”, come lo chiama il direttore di Federculture, si distinguono dall’impresa creativa per la finalità del soggetto impresa. “Quella culturale è un’impresa che ha finalità di interesse generale, pubblico, l’interesse di allargare la partecipazione come in parte chiede la stessa Convenzione di Faro”. L’impresa creativa, invece, “utilizza legittimamente l’input creativo per stare sul mercato e fare profitti. E molto spesso l’impresa creativa è il soggetto complementare dell’impresa culturale”. Bocci – citando Marco Cammelli, noto studioso di beni culturali dal punto di vista legislativo – espone il proprio “vangelo”: “‘Non tutto ciò che è culturale – ricorda – è creativo, non tutto ciò che è creativo è culturale’”. Questa piattaforma, precisa Bocci, “va portata in Europa: un conto è l’impresa culturale, altro è l’impresa creativa, un’impresa profit oriented che utilizza la creatività per essere più competitiva”.
Un esempio per tutti è quanto sta accadendo al MANN di Napoli dove il direttore Paolo Giulierini, con la collaborazione del Prof. Ludovico Solima, ha definito il piano strategico di sviluppo del museo archeologico puntando anche sul gaming e commissionando al giovane creativo Fabio Viola il videogioco ‘Father e son’ che, in pochissimo tempo e stato scaricato da poco meno di 400.000 persone. Ottenendo anche il risultato di portare al museo (come prevede proprio una fase del gioco) persone che non ci sarebbero mai andate.
La proposta di legge sulle imprese culturali alla Camera
Di imprese culturali e creative si parla molto di questi tempi. Anche in Parlamento ‘giace’ una proposta di legge, a prima firma Anna Ascani del Pd, che definisce per l’ordinamento italiano le imprese culturali e creative. Inizialmente la pdl prevedeva una serie di incentivi fiscali che nell’iter del provvedimento sono andati persi sotto la scure del Mef e della Commissione Bilancio di Montecitorio. “Stiamo seguendo attentamente quel disegno di legge – spiega Bocci -. Le vicende parlamentari sono andate così avanti che rimettere mano ora a quel provvedimento non è facile. Sarebbe una cosa buona se quella legge potesse affermare la distinzione tra impresa culturale e impresa creativa, in un sistema più vasto che le tiene insieme. Che è poi anche quello cui puntiamo con la Conferenza Nazionale di L’Aquila”.
Uno statuto ad hoc per le imprese culturali
Queste imprese culturali con finalità pubbliche potrebbero quindi essere meritevoli di un regime fiscale ad hoc. Bocci lancia la sua idea: “Bisognerebbe prevedere uno statuto dell’impresa culturale con finalità pubblica che in ragione del lavoro che fa e degli obiettivi sociali che consegue potrebbe essere meritevole di un sostegno di carattere fiscale. Rivendichiamo l’idea di essere un’impresa, di muoverci come un’impresa per conseguire però obiettivi di interesse pubblico e per questo non essere considerati come le imprese che stanno sul mercato. Il nostro è un profitto sociale”. Da questo statuto occorre poi far derivare “un alleggerimento del peso fiscale perché è interesse pubblico che funzioni la gestione, la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale che è un patrimonio dei cittadini”.
Il precedente del decreto Colosseo
Il concetto – richiamato nelle finalità delle imprese culturali – di interesse pubblico, di valore sociale e quindi di “servizio essenziale” per i cittadini trova tanti fondamenti e riferimenti normativi nella legislazione italiana. A cominciare evidentemente proprio dall’articolo 9 della Costituzione. A tal fine viene facile pensare anche al decreto Colosseo del settembre 2015. Dove si legge: “‘In attuazione dell’articolo 9 della Costituzione, la tutela, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale sono attività che rientrano tra i livelli essenziali delle prestazioni’ di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione”. In base al decreto convertito in legge dal Senato a novembre 2015, inoltre, le disposizioni sull’esercizio del diritto di sciopero, previste dalla legge del 1990, relative alla garanzia delle prestazioni in servizi essenziali come scuola, sanità e trasporti si estendono a musei, monumenti, istituti e luoghi rilevanti nel patrimonio culturale, storico e artistico nazionale.
Premio Cultura di Gestione
Sempre nell’ambito della Conferenza Nazionale dell’Impresa Culturale la sera del 4 luglio presso il Teatro Comunale Vittorio Antonellini dell’Aquila, si svolgerà la cerimonia di premiazione del Premio Cultura di Gestione – edizione speciale per le imprese culturali realizzato allo scopo di riconoscere modelli innovativi di intrapresa che hanno saputo generare un impulso in termini di incremento e miglioramento dell’offerta di beni e attività culturali, della loro produzione e della loro fruizione pubblica, intesa come disponibilità universale e non discriminata.