
Ogni crisi lascia in dote eredità in grado di segnare uno spartiacque tra il prima ed il dopo. Successe nel XIV secolo con la peste nera che travolse circa un terzo della popolazione europea contribuendo ad accelerare profondi cambiamenti nelle infrastrutture sociali, economiche e tecnologiche. I rapporti personali tesero ad imbarbarirsi, Bergdolt nel suo monumentale saggio “La peste nera e la fine del Medioevo” sottolinea:
“Il fatto che l'orrore della vita quotidiana durante la peste abbia suscitato una particolare crudeltà e insensibilità, e sia stato addirittura la causa della fine della società fondata sulla solidarietà umana, è dimostrato da molti racconti di testimoni oculari. Boccaccio (nel Decamerone,ndr) racconta come i fiorentini si comportassero in modo estremamente egoistico… i cronisti descrivono in modo dettagliato come il senso della morale e della responsabilità sociale si andassero affievolendo”.
Con le dovute proporzioni, l’attuale pandemia potrebbe fungere da mero acceleratore di una tendenza in atto almeno dagli anni ’80 e direttamente collegata al crollo di istituzioni ed ideologie di riferimento. Con il disgregarsi del ruolo sociale della chiesa, partiti, famiglia abbiamo assistito a risposte scomposte a ranghi sparsi nell’attesa della riformulazione di nuovi ideali aggreganti. Per quanto criticata, l’avanzata della rivoluzione post industriale di cui internet ne è l’emblema, ha aiutato la riformulazione di nuove identità individuali. Laddove i luoghi deputati hanno abdicato al proprio ruolo, le comunità digitali sono diventate – con tutti i loro limiti attuali – i luoghi in cui si formano e consolidano identità individuali che, è doveroso sottolineare, non ci vengono trasferite per DNA o nascita, ma si formano col tempo attraverso il consenso sociale.
Istituzioni che prenderanno posizioni nette su temi connessi allo stare al mondo (ambiente, migrazioni…) e introdurranno nella propria missione l’alfabetismo emotivo diventeranno fari nell’orientare la lettura del presente attraverso la comprensione dei corsi e ricorsi storici.
La peste nera determinò inoltre stravolgimenti sociali, segnando la scomparsa del “Medioevo”. Le famiglie nobiliari e reggenti cedettero il passo in favore degli “uomini nuovi” (si pensi all’inizio del Rinascimento con i Medici e la caduta degli Albizi), persone che non potevano vantare l’appartenenza a una gens, ma grazie alla ridistribuzione della ricchezza avvenuta in quel secolo poterono finalmente ricoprire le più alte posizioni sociali.
È fondamentale in un periodo di ricostruzione poter contare su forze nuove, su nuove spinte propulsive che possono arrivare anche da chi, ad oggi, è stato spesso escluso dai centri decisionali. Oggi, come nel ‘300, saranno i giovani (per estensione under 40) e le donne a rappresentare il nostro futuro, tanto più in una situazione in cui non ci si potrà limitare a governare l’esistente, ma diventerà fondamentale immaginare nuovi scenari, progettarli ed eseguirli. Possiamo permetterci di ripartire senza neanche un direttore under 40 tra i musei a gestione Mibac e con una scarsa presenza di donne nei comitati decisionali?
Con il mitigarsi della peste, si assistette nella seconda metà del ‘300 ed in tutto il ‘400 a un susseguirsi spontaneo di innovazioni tecnologiche che portarono ad una meccanizzazione del lavoro gettando le basi a formidabili scoperte come l’invenzione della stampa a caratteri mobili.
Una risposta simmetrica è attualmente in corso, con una (ri)scoperta della digitalizzazione per continuare a lavorare (smart working), insegnare (e-learning), acquistare (e-commerce) e persino per fruire del nostro patrimonio culturale. Tutti i grandi musei del mondo nelle ultime settimane hanno proposto video, tour virtuali ed altre esperienze veicolate tramite byte.
Questa rincorsa alla tecnologia è destinata a funzionare se diventerà permanente e parte integrante dell’esperienza di fruizione e conoscenza del nostro patrimonio. Ora come non mai dovremmo porci il problema sul futuro dell’accountability culturale. Ha ancora senso continuare a considerare visitatori solo coloro i quali varcano i portoni di ingresso dei luoghi? I pubblici on-site non dovrebbero essere importanti quanto quelli on-line? E se questa equivalenza ci trovasse tutti d’accordo, non significherebbe quindi dotarsi non solo di hardware e software, ma anche, e soprattutto, di risorse umane in grado di governare questo reale e complesso ampliamento dei pubblici? Ai più critici chiedo, realizzo la mia missione con un visitatore entrato in maniera distratta per poche ore in un centro culturale e che ritorna a casa senza aver recepito e metabolizzato alcun messaggio, o, paradossalmente, con una persona che ha interagito mediante videogioco, basato su quello stesso centro culturale, per mesi e mesi con una elevata curva di attenzione e pro-attività?
La dicotomia fisico vs digitale è tale solo negli schemi mentali di chi è nato prima della rivoluzione post-industriale, nel futuro immediato è bene che entrambe le modalità di esperienza concorrano a restituire una visione completa del nostro patrimonio.
Il secondo rilievo, ben più di impatto rispetto al primo, riguarda il modo in cui stiamo guardando alla tecnologia come panacea (temporanea) dei mancati flussi fisici. La tecnologia che viene utilizzata per virtualizzare quanto esistente nel fisico è destinata a fallire perché non apporta nulla di nuovo e, finanche, rischia di depauperare l’esistente. È il caso dei lettori e-book come Kindle che hanno già perso la battaglia rispetto al media libro tradizionale.
È il momento di un grande piano Marshall culturale in cui l’Italia inizi a puntare sulla creazione di nuovi immaginari turistici e culturali. Inutile rendere disponibile la riproduzione pedissequa di una sala museale (se non a fini di tutela o accessibilità), dobbiamo tutti interrogarci sul ruolo che le istituzioni culturali potranno e dovranno giocare nell’essere centri attivi di nuova produzione culturale. Come continuiamo a essere nella vita della popolazione mondiale in un anno in cui Federturismo stima una perdita di oltre il 60% dei visitatori?
Trasformiamo le nostre città in spazi per i CreAttivi: ricercatori, makers, innovatori, artisti, storici in grado di lavorare trasversalmente per trasformare l’Italia in un generatore di nuove mitologie contemporanee.
Non bisogna avere paura, la creazione di nuovi spazi mentali ed identitari non potrà far altro che rinforzare l’esistente. Come già accaduto con la fotografia che ha reso ancora più classici ed irraggiungibili la pittura, così la nuova epoca della cultura interattiva contribuirà a far conoscere ed apprezzare i riferimenti che tanto amiamo e vogliamo continuare a tutelare e valorizzare.
Letture Lente fa da soundboard a un’iniziativa di Andrea Bartoli (fondatore di Farm Cultural Park), invitando altre voci a contribuire a una riflessione corale sul futuro.
Fabio Viola crea nuove mitologie contemporanee. Ha iniziato la sua carriera lavorando con multinazionali dell' intrattenimento come Electronic Arts Mobile e Vivendi Games su videogiochi iconici come Fifa, The Sims, Harry Potter e Crash Bandicoot. Scrittore di fortunati saggi, L'Arte del Coinvolgimento (Hoepli 2017), e docente di game design in diverse università italiane, ha legato recentemente il suo nome ad opere interattive realizzate dal collettivo internazionale TuoMuseo: Father and Son (oltre 4 milioni di download per il Mann di Napoli) e A Life in Music (Teatro Regio Parma)