
Scrive Lattanzi, nel suo volume “Musei e antropologia” (Roma, Carocci, 2021, € 19), che è “lecito chiedersi se le esperienze collaborative dei musei etnografici non contengano un qualche valore aggiunto in ordine alla ridefinizione della missione dei musei e in che cosa questo valore consista” (p. 127). Appare questo il quesito da cui origina il volume, ove l’autore – che oggi opera presso la Direzione generale Musei del Ministero della Cultura – ha coordinato gli esiti di ricerche, riflessioni e pratiche del museo, a partire dalla sua esperienza nel fu “Museo preistorico etnografico Luigi Pigorini”, dislocato dalla sede del Collegio Romano all’EUR e dal 2016 ricompreso nel “Museo delle Civiltà”: una raccolta complessa in una sede affascinante, dalle collezioni stratificate, in certo modo testimone dell’evoluzione della museologia etnografica in Italia, dall’età coloniale a oggi. Alla ricomposizione dei diversi nuclei museali e delle relative risorse umane e strumentali in un progetto innovativo si era molto dedicato dal 2017 Filippo Maria Gambari, l’apprezzato Direttore prematuramente scomparso, alle soglie della pensione e in tempi di pandemia, il 19 novembre 2020.
L’approccio antropologico di Lattanzi ha un percepibile connotato fenomenologico ed esistenzialista, che non sembra aver bisogno di venir dichiarato dall’autore. Il suo discorso ci invita a farci compagni di via in una sorta di conoscenza dialogica, che si articola nel susseguirsi densissimo di citazioni, di rimeditazioni su esperienze proprie e analisi delle altrui, sollecitando la riconsiderazione del rapporto fra soggetti e oggetti negli spazi dei musei, costantemente concepiti come creazioni – non semplicemente istituzioni – dell’età contemporanea. Essi sono chiamati dunque a ricomprendersi continuamente nelle dinamiche di incessante coevoluzione nei contesti sociali del mondo di oggi, che, salpato dall’età post-coloniale nel Novecento, compie attualmente la sua navigazione nell’età della globalizzazione e delle migrazioni, imparando con fatica a governare la sua rotta nell’incertezza della meta.
SOGGETTI E OGGETTI DEL MUSEO
Fra i soggetti sono da annoverare simultaneamente le innumerevoli e variegate esperienze del pubblico dei visitatori, così come il depositarsi e correlarsi nel tempo delle intenzionalità e degli interventi dei curatori e delle istituzioni di rispettiva appartenenza. Fra gli oggetti Lattanzi ci induce a considerare non soltanto le raccolte museali (il patrimonio del museo-ente) e l’apparecchio museografico, che ne è l’interfaccia con l’altro da sé e con il pubblico, ove si deposita l’azione critica del curatore (anzi del susseguirsi dei curatori); dal punto di vista antropologico appare infatti componente ineludibile dell’oggetto del museo tutto il mutante e spesso inafferrabile contesto contemporaneo, che si rischia continuamente di ritenere esterno e altro, come se il museo potesse davvero ritenersi un’entità stabile, identificabile e ben denotata nei contenuti e nei contorni, a prescindere dallo sguardo e dagli usi delle persone. L’autore indugia sull’agire museale come scrittura (cfr. p. 38): un approccio che evoca evidentemente l’autorialità – e dunque la soggettività – del formarsi e trasformarsi del museo. Ma se così è, se cioè il museo è scrittura, allora il tempo dell’oggetto museale non è certo fissato dalle annotazioni sulla datazione degli oggetti selezionati ed esposti dal curatore, leggibili nei cartellini che di consueto li affiancano. Il tempo del museo è invece un’entità più esistenziale e, già in via di principio, assai meno oggettivabile, non perché vaga o sospesa, ma perché concretamente emergente dalla tensione e dalle intenzionalità mutevoli che raccordano curatore e fruitori nelle loro effettive relazioni, tra variazioni e successioni.
TEMPO E LUOGO NEL MUSEO
Altrettanto dinamico risulta, di conseguenza, il darsi dello spazio o, se si vuole, del luogo museale. Proprio la storia dei musei etnografici nell’ultimo secolo lo attesta, secondo Lattanzi e i numerosi autori di cui intreccia citazioni: la nascita presso i nativi di una esigenza di museo – proprio e altro da quelli europei di origine post-coloniale – così come l’incontro nei musei “occidentali” con oggetti che vengono fruiti dai nativi come attivatori di memorie, racconti, canti, anziché per i caratteri tipologici, morfologici, estetici caratteristici delle forme europee di classificazione ed ordinamento museale, genera una messa in crisi di quel modello espositivo che sembrava legittimarsi proprio nella presa di distanza dal contesto originario attraverso valutazioni selettive e, sostanzialmente, di astrazione “scientifica” dal luogo: da quel terreno, dunque, che fu d’origine e che investì l’esistere stesso di oggetti, poi divenuti museali, di tutto quel portato di sistemi relazionali interpersonali (irriproducibili nella sostituzione avvenuta con la localizzazione museale), che è a tutti gli effetti il senso del tempo e del luogo degli oggetti e delle loro comunità, alternativo (o, meglio, complementare) a quello che connota il tempo e il luogo del curatore-scrittore del museo.
MUSEO COLLABORATIVO E DINAMICHE RELAZIONALI
Il museo si costituisce dunque come luogo-macchina, il cui motore e le cui energie di funzionamento si attivano nella relazione dialogica incessante che avviene nella contemporaneità, trasformando irreversibilmente la tradizionale triade edificio / collezione / spettatori in dinamiche del tutto relazionali e non più staticamente individuabili. Ma nell’attuale età dell’antropocene – con le sue migrazioni globali e continue, con le identificazioni di una persona o anche di intere comunità con più località, fra memoria e presente – superata anche la distinzione fra natura e cultura (cap. 3.1) e preso atto del costituirsi di un museo collaborativo (cap. 5), in cui l’opposizione curatore – fruitore confluisce e si risolve nell’interazione dinamica fra alterità e differenze, rimane un quesito: ha tuttora senso parlare di pubblico come entità autonoma, distinta dalla collezione e dai suoi valori? Ha davvero senso, di conseguenza, parlare di public engagement?
Esperienze di museologia attuale – per esempio quelle di Nancy Proctor – dimostrano che l’approccio antropologico alla funzione museale cambia simultaneamente il senso di pubblico e collezioni. Anche se Lattanzi sfiora soltanto il tema (mantenendo comunque l’espressione pubblico), la sua riflessione può portare a ridefinire il ruolo dei musei, soprattutto di quelli locali, come agenti di valorizzazione, nell’accezione più coerente con il Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, quale dimensione relazionale della tutela, come altrove ho argomentato. E della dimensione relazionale e partecipativa già Hugues de Varine (2002) aveva dichiarato la stigmata: “La gestione [del patrimonio / eredità culturale] dovrà quindi essere il frutto della cooperazione di tutti gli attori presenti nel territorio, anche se ciò comporta a volte conflitti e rotture”.
Pietro Petraroia, storico dell'arte e museologo, già Soprintendente per i beni artistici e storici del Ministero della Cultura in Lombardia e poi Direttore generale per la Cultura presso Regione Lombardia, è docente a contratto di legislazione dei beni culturali e si occupa – professionalmente e per volontariato – di conservazione programmata, fruizione, valorizzazione e gestione dell'eredità culturale anche in rapporto allo sviluppo locale con processi partecipativi. Socio di ICOM, è AD di Cultura Valore Srl e direttore della rivista “Il capitale culturale”.
ABSTRACT
In his book “Museums and anthropology” (2021), Vito Lattanzi collected his experiences, reflections, writings and proposals about the changes that have affected the identity and mission of museums from the twentieth century until today. The role of ethnographic museums in the contemporary societies is discussed; the impacts of globalization and new human mobility on museums are highlighted, through an anthropological analysis of subjects and objects of the museums’ activities in relation to communities and territories.