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LETTURE LENTE - rubrica mensile di approfondimento
La rigenerazione urbana su base culturale si configura oggi come fenomeno pronto a un salto. Ne parliamo con Roberta Franceschinelli, Fondazione Unipolis, e Franco Milella, Fondazione Fitzcarraldo
Nascita Della Rete Nazionale Per La Rigenerazione Urbana Su Base Culturale, Copyright CasermArcheologica
Nascita della Rete nazionale per la rigenerazione urbana su base culturale, copyright CasermArcheologica

Che la rigenerazione su base culturale stia assumendo sempre più le sembianze di un vero e proprio fenomeno sociale lo dimostrano non solo le crescenti esperienze sul territorio, ma anche i tentativi di infrastrutturazione, di mappatura e di osservazione che ne stanno accompagnando l’evoluzione.

Sono di recente avvio la Rete nazionale della rigenerazione urbana su base culturale, la Mappatura nazionale dei centri culturali innovativi lanciata da CheFare, l’Avviso pubblico promosso dall’IBC – Istituto beni artistici, culturali e naturali dell’Emilia-Romagna “per la presentazione di progetti multidisciplinari per la mappatura e la rigenerazione culturale dei nove Comuni della provincia di Modena coinvolti dal sisma 2012”. Ma anche il sostegno economico alla rigenerazione urbana della Regione Toscana e il bando dedicato “Rigenerazione urbana a base culturale”, per uno stanziamento complessivo di 100.000 euro, o la convenzione tra il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Regione Umbria, con cui vengono messi a disposizione circa 7 milioni di euro dal Fondo di Solidarietà e Coesione 2014-2020 per progetti di rigenerazione sociale e/o culturale, ecologica e/o ambientale, urbanistica e/o architettonica di 36 comuni umbri, a partire dal patrimonio edilizio e infrastrutturale di proprietà comunale. A questi si aggiungono strumenti di altri enti e fondazioni, che fanno eco a esperienze pionieristiche quali il bando Culturability di Fondazione Unipolis o il programma Bollenti Spiriti della Regione Puglia.

Rompendo perimetri, l’intersezione tra insieme cultura e insieme sociale si fa sempre più popolata, grazie a esperienze che − mettendo in relazione spazi, cultura e cittadini − concorrono, seppur da angolature diverse, al medesimo obiettivo di riqualificazione in un’ottica generativa. Si pensi anche ad alcune esperienze censite dall’Archivio della generatività sociale o ai casi di gestione del patrimonio culturale dal basso, riunitisi proprio un anno fa in forma di rete.

La geografia della cultura si arricchisce sempre più di nuove forme in grado di connettere e riconnettere  comunità, sperimentando innovazione contemporaneamente a vari livelli, sociale, gestionale, di welfare. Rigenerare con la cultura per diventare generativi?

LA RETE. GENESI E OBIETTIVI

Nasce la Rete nazionale della rigenerazione urbana su base culturale. Dopo un incontro tra le principali realtà nazionali attive sul tema tenutosi a Preci nel giugno 2018, la Rete si è riunita ufficialmente, per la prima volta,  il 5 e il 6 dicembre a Sansepolcro (AR), in un’iniziativa promossa da CasermArcheologica in collaborazione con la Regione Toscana. CasermArcheologica-Utopie possibili è un’esperienza di rigenerazione urbana vincitrice nel 2016 del bando “Culturability” di Fondazione Unipolis, impegnata nella riqualificazione dell’ex Caserma dei Carabinieri nel centro storico di Sansepolcro, all’interno dell’edificio storico Palazzo Muglioni, quale centro dedicato alle arti contemporanee e spazio di lavoro per giovani professionisti, coinvolgendo studenti delle scuole superiori, professionisti, imprenditori, istituzioni e fondazioni.

I protagonisti delle principali esperienze italiane hanno deciso di mettersi formalmente in rete facendo leva sullo spirito collaborativo che da sempre li contraddistingue, in favore di un impegno comune che possa contribuire a una maggiore rilevanza del tema a livello istituzionale e a iniziative di advocacy e lobbying. “Premessa è il riconoscimento della redditività civica, dell’impatto sociale e civico che questi spazi e luoghi generano, ovvero riconoscere la pubblica utilità di questi centri culturali indipendenti, allontanandosi da logiche che tendono ad affrontare il tema della riattivazione degli spazi in una logica solo patrimoniale in senso stretto” afferma Roberta Franceschinelli, responsabile cultura di Fondazione Unipolis e tra i promotori della Rete. Fondazione che, dal lontano 2009, sostiene progetti sul tema e nel 2013 ha lanciato il pionieristico bando “Culturability”.

L’obiettivo primario della Rete è quello di “portare avanti una serie di azioni che auspicabilmente possano poi indirizzare le politiche pubbliche a livello locale e nazionale, affinché si crei un contesto favorevole sia per la nascita di nuove esperienze di riattivazione di spazi a base culturale, sia per abilitare effettivamente il lavoro che questi spazi pionieristici portano avanti ovunque con grandissime difficoltà. Fare advocacy e lobbying su questi temi vuol dire, da un lato, sicuramente cercare di reindirizzare le risorse che ci sono a disposizione, ma vuol dire banalmente anche rimettere mano a un sistema di strumenti normativi e amministrativi che, al momento, non facilita la presa in gestione e la cura di questi luoghi” sostiene Franceschinelli. A partire dalle esperienze esistenti, si intende quindi avviare un’interazione feconda con enti pubblici, fondazioni e altri soggetti istituzionali, anche attraverso la sperimentazione di percorsi di ricerca-azione.

I  promotori della rete sono i soggetti vincitori o finalisti delle varie edizioni di “Culturability”, nonché gli spazi toscani che recentemente sono diventati protagonisti di rigenerazione anche grazie al sostegno regionale. Tra i partecipanti alla prima iniziativa di presentazione e di incontro, oltre a numerosi protagonisti di esperienze di riattivazione di spazi a fini culturali e sociali provenienti da ogni parte d’Italia – tra cui Favara Cultural Farm (Agrigento), Mare Culturale Urbano (Milano), Periferica (Mazzara del Vallo), CAOS / Sa Manifattura (Terni), Facto (Montelupo Fiorentino), Convento Meridiano (Cerreto Sannita), Mare Memoria Viva (Palermo), Faro – Fabbrica dei saperi (Rosarno), Mercato Sonato (Bologna) –  anche studiosi, addetti ai lavori e rappresentanti istituzionali e di fondazioni che sostengono iniziative analoghe. Tra questi, Luciano Antonino Scuderi, delegato del Direttore Generale della DG CCRU del MiBACT, Monica Barni Vicepresidente Regione Toscana, Paolo Testa di Anci, Paolo Masetti Sindaco di Montelupo Fiorentino, Emiliano Fossi Sindaco di Campi Bisenzio, referenti di Fondazione con il Sud, Fondazione Unipolis, Fondazione CR Firenze, Fondazione Cariplo, Fondazione Innovazione Urbana (Bologna), Chefare, Federculture, Fondazione Fitzcarraldo.

Varie le traiettorie percorse durante i lavori del primo incontro nel dicembre scorso, dagli strumenti per le politiche pubbliche di rigenerazione urbana su base culturale alle competenze professionali, dalla specificità delle comunità delle aree interne al ruolo dei professionisti della cultura come agenti di cambiamento. Il prossimo appuntamento, previsto inizialmente per il 29 febbraio a Milano e differito per l’emergenza sanitaria nazionale, sarà l’occasione per la stesura definitiva dello Statuto e la nomina del consiglio direttivo della rete.

L’ESPERIENZA DI CULTURABILITY

Apripista nel supporto all’evoluzione della rigenerazione urbana su base culturale è stato il bando “Culturability”, nato dalla visione e dalla sensibilità di attori quali Che Fare e Fondazione Unipolis che, dopo aver sostenuto nel 2009 progettualità a L’Aquila, a Scampia, a Palermo etc., ha deciso di esplorare la connessione tra cultura e impatto sociale. È così che nel 2013 la Fondazione lancia il bando, focalizzandolo dal 2014 su spazi rigenerati fortemente connessi con la comunità di riferimento. Indiscusso merito dell’iniziativa, quello di aver acceso una luce a livello istituzionale sul tema della rigenerazione di spazi a fini culturali e sociali e di aver sostenuto e accompagnato l’evoluzione di un importante fenomeno. “Da un lato, il bando ha fatto emergere moltissime realtà, anche piccole, che facevano parte del sottobosco dell’innovazione culturale e sociale e che non erano conosciute se non nei loro territori di riferimento, parallelamente ha fatto nascere progetti che magari non esistevano e che in alcuni casi giungevano ad un punto di svolta attraverso il bando. Nel tempo e nel nostro piccolo ce ne siamo presi cura non soltanto con un contributo economico, ma mettendo in piedi con queste realtà anche percorsi di accompagnamento e di connessione fra tutti i progetti sostenuti negli anni” dichiara Franceschinelli.

Per le cinque edizioni del bando, dal 2013 al 2018, la Fondazione ha investito complessivamente 1 milione e 860 mila euro. Dei 3112 progetti partecipanti al bando, la Fondazione ha garantito un percorso di formazione per 80 progetti, di cui 39 hanno beneficiato anche di un contributo a fondo perduto di 50.000€ ciascuno. Si tratta di realtà imprenditive che affrontano costantemente la fatidica questione della sostenibilità economica per la natura stessa dei loro obiettivi di impatto sociale. Una sostenibilità che diventa ancora più ardua nel caso di spazi che si trovano in aree interne o periferiche. Attualmente la Fondazione porta avanti due progetti di ricerca relativamente all’insieme dei progetti sostenuti, di cui uno volto ad indagare le nuove competenze e le nuove reti che si stanno formando all’interno di questi spazi rigenerati, anche grazie ai processi di empowerment e di abilitazione delle persone messi in atto.

“La specificità dei progetti che abbiamo sostenuto è quella di una logica molto diversa di rapportarsi al territorio e alla comunità, ovvero lavorare non per ma con la comunità e con la diversità di attori che caratterizzano un territorio. (…) Se penso ai progetti che ce l’hanno fatta, ovvero che hanno messo insieme progetti di rigenerazione durevoli, sostenibili e pensati per il territorio, la loro riuscita è perché sono rimasti in costante ascolto del territorio di riferimento, non sono stati calati dall’alto, ma sono realmente bottom-up nel modo in cui sono nati, si sono sviluppati e sono stati rivisti passo dopo passo con gli attori del territorio. Questo aspetto di porosità e di permeabilità rispetto alle esigenze del contesto di riferimento e di rimettersi costantemente in discussione, che non significa essere volubili ma essere pronti a cambiare, è senza dubbio un altro dei punti di forza dei progetti che abbiamo sostenuto” afferma Franceschinelli. Un legame indissolubile con la comunità e con il territorio, ad esempio, è quello di Periferica, impegnata a Mazara del Vallo in un processo di rigenerazione e valorizzazione di uno spazio dismesso di cave antiche di oltre 3.000 mq, coinvolgendo giovani studi professionali, studenti universitari e under 18, artisti e designer in processi di co-design dei luoghi, come nel caso di Evocava, museo che evoca la Mazara sotterranea, e di itinerari turistici. Altro caso emblematico, Mercato Sonato, che nasce dalla rigenerazione del mercato rionale coperto del quartiere periferico di Bologna San Donato e si è trasformato in un teatro urbano, uno spazio di produzione e fruizione artistica che propone concerti, percorsi sensoriali, corsi, musicoterapia, residenze artistiche, un coworking, percorsi di ascolto e alfabetizzazione musicale, prove aperte e aperitivi musicali, animato tra gli altri dai musicisti dell’Orchestra Senzaspine e dal Coro degli stonati. Nella scorsa stagione, con 11 mesi di programmazione, Mercato Sonato ha registrato 60.000 spettatori complessivi, con oltre 1.200 bambini coinvolti, 140 eventi, 600 ore di laboratori e didattica, 8.000 iscritti all’Associazione Senzaspine.

Dopo un anno, il 2019, in cui la Fondazione, oltre a garantire il consueto accompagnamento ai progetti in corso, ha avviato una riflessione sulla possibile riformulazione del bando “Culturability” anche alla luce dei cambiamenti di contesto, nei prossimi mesi verrà presentata pubblicamente l’evoluzione di questo pionieristico strumento di finanziamento.

LA RIGENERAZIONE SU BASE CULTURALE. OPPORTUNITÀ E SFIDE

Se, da un lato, la rilevanza del tema è ormai innegabile, dall’altro, ampi margini restano per l’elaborazione e l’attuazione di politiche che, riconoscendo il valore culturale, civico e sociale delle esperienze di rigenerazione, favoriscano l’adozione di strumenti propedeutici al loro sviluppo e alla loro sostenibilità.

“È evidente che le politiche pubbliche in tema di patrimonio immobiliare siano state ispirate, soprattutto  negli ultimi 25 anni, da un orientamento del valore pubblico dei beni in base a principi di redditività prevalentemente economica – afferma Franco Milella di Fondazione Fitzcarraldo – e, conseguentemente, il fiorire di esperienze eccellenti di rigenerazione di beni pubblici in abbandono, da Nord a Sud, con effetti di innovazione sociale a base culturale, non sono, da troppo tempo oramai, leggibili dai “radar” dei “policy makers. Anzi, al contrario, queste esperienze sono state nei fatti ostacolate, messe nell’angolo della precarietà regolativa e di concessioni di breve termine, spesso revocabili su semplice richiesta degli enti proprietari, o ingessate in contenuti operativi bloccati lì dove serve sperimentazione, flessibilità operativa, correzione di rotta, creatività. È la conseguenza di normative, ispirate a finalità economico-mercatiste dei beni pubblici, distanti, se non opposte, a quelle che vi restituiscono valore sociale e culturale riconosciuto dalle Comunità a cui, in ultima analisi, questi beni effettivamente appartengono”.

Un’opportunità per sperimentare un nuovo ruolo della pubblica amministrazione e nuove forme di collaborazione tra gli attori sociali e culturali. Secondo Franceschinelli, occorre “interrogarsi su cosa significhi elaborare policy che abilitino la nascita di nuovi spazi e il consolidamento di quelli già esistenti”, anche alla luce delle notevoli difficoltà burocratiche che alcune realtà incontrano nella gestione di spazi di proprietà pubblica. Vi è “un’esigenza di innovazione amministrativa, di dare vita a sperimentazioni in materia di nuovi partenariati pubblico-privati così come a nuove forme di gestione dei beni comuni” prosegue Franceschinelli.

In questo senso, vari strumenti interessano anche il settore culturale, nonostante la loro efficacia non possa considerarsi slegata da un quadro di policy che crei le condizioni per una governance sostenibile degli spazi rigenerati. Tra i vari approcci maturati negli ultimi anni, per particolari tipologie di luoghi figura quello relativo ai beni comuni. Si pensi ai regolamenti per la gestione dei beni comuni urbani, adottati in primis a Bologna e Napoli, poi in varie città e ormai sempre più all’attenzione dei policy makers, anche grazie all’esperienza del prof. Christian Iaione, docente di diritto urbanistico alla LUISS “Guido Carli” di Roma, che conduce sperimentazioni anche in ambito culturale con il suo LabGov – LABoratorio per la GOVernance della città come bene comune. Pubblicato nei giorni scorsi, il “Rapporto 2019. L’amministrazione condivisa dei beni comuni” elaborato da Labsus – Laboratorio per la sussidiarietà analizza un campione di 830 patti di collaborazione attivati, attivi e/o conclusi entro la prima metà del 2019 in Italia, in cui cultura (8%) e beni culturali (3%) figurano, seppur in maniera minoritaria, tra le aree di applicazione (l’ambito primario è l’ambiente, verde urbano e arredo urbano che da solo assorbe il 68% dei patti).

Ulteriore strumento a disposizione, le forme speciali di partenariato pubblico-privato (PSPP) in ambito culturale previste dall’art.151 del nuovo Codice degli appalti e dei contratti pubblici D.Lgs. n. 50/2016, originariamente attivabili solo dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ma oggi anche dagli altri soggetti pubblici in relazione al proprio patrimonio, con altri enti e organismi pubblici e con soggetti privati, per “il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l’apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali immobili”. “Molto di nuovo emerge dalla sperimentazione dei partenariati previsti dall’art. 151, promossi da imprese ed innovatori culturali con  alcuni Comuni (Bergamo e Bari tra i primi) – continua Franco Milella che sta seguendo tutti i casi di sperimentazione di PSPP in Italia − con risultati straordinari in ordine a tre distinte questioni: 1) sottrarre all’abbandono tanta parte del patrimonio culturale diffuso e del patrimonio immobiliare pubblico potenzialmente destinabile a finalità culturali, 2) dare luoghi vitali e stabili di innovazione culturale e sociale lì dove c’era degrado, 3) sottrarre alla precarietà regolativa tante esperienze eccellenti nel riuso del patrimonio pubblico che pure contribuiscono alla coesione sociale e alla rigenerazione di comunità intere, di prossimità, ma anche di città e territori. È una nuova ribalta di possibili politiche pubbliche generative e fiduciarie, sul riuso del patrimonio, che siano direttamente ispirate a rendere centrali i valori di queste esperienze di riuso, dimostrando che soggetti privati possono concorrere direttamente a finalità esplicite di interesse generale attraverso forme inedite di collaborazione con gli enti proprietari dei beni pubblici, caratterizzate  da lunga durata, dalla “redditività sociale e culturale” per le comunità a cui si riferiscono, e da modelli di governance ispirati a principi di co-progettazione tra le parti e dalla responsabilità operativa del partner privato, finalmente con alti gradi di autonomia. È possibile, finalmente, e le sperimentazioni e la moltiplicazione di casi dimostrano quanto sia più efficace ed efficiente questo modello rispetto ai processi di privatizzazione dei beni pubblici fondati sulle concessioni di diritti esclusivi di sfruttamento economico dei beni. A gennaio 2019 l‘ANCI nazionale ha espresso un ordine del giorno presentato al Governo nazionale sul tema, e il recente schema di DDL in tema di Imprese Culturali e Creative induce ottimismo perché si possa passare dalle molteplici sperimentazioni ad una normativa dedicata che supporti gli innovatori culturali nel riuso di beni pubblici”.

COSA SERVE?

Le esigenze non si esauriscono soltanto in nuovi strumenti legislativi, amministrativi e finanziari. Infatti, accanto alla creazione di condizioni maggiormente favorevoli a livello istituzionale, vi è senza dubbio una “questione professionale” assai decisiva per l’evoluzione di queste esperienze. Vi è la necessità di nuove competenze e nuove figure professionali, sempre più ibride, all’interno della pubblica amministrazione e non solo, che siano in grado di progettare, accompagnare e gestire lo sviluppo di queste nuove realtà in un’ottica di lungo periodo, allo stesso tempo intercettando i bisogni della comunità e attivando le capacità dei suoi abitanti. E su questo le fondazioni di comunità si stanno rilevando veri e propri agenti di cambiamento, anche a livello culturale. Vi è anche il tema di un “riconoscimento del lavoro e di un’equa remunerazione per le persone che lavorano in questi luoghi, è ovviamente un tema che riguarda l’intero settore culturale che però assume connotazioni particolari nel caso di questi spazi. C’è un tema quindi di cura della dignità, della qualità del lavoro relativamente a questi spazi che deve essere riconosciuta e valorizzata” dichiara Franceschinelli. Questo anche a difesa della funzione culturale stessa dei luoghi rigenerati, per “portare avanti una proposta culturale e artistica alta, continuando a raggiungere obiettivi elevati, riuscendo a coinvolgere artisti in prima persona in questi luoghi in una sfida importante, altrimenti il rischio è che si faccia innovazione sociale e welfare ma con cultura di bassa qualità e in luoghi che diventano soltanto di fruizione e non di produzione di cultura” prosegue Franceschinelli.

Un fenomeno prezioso che si fa carico di molteplici responsabilità, con un’accezione ampia di cultura come trasmissione, produzione e capacitazione, e che merita di essere sostenuto con varie modalità nella sua lotta per la sostenibilità. La risposta all’insostenibile leggerezza di visioni e politiche che ci hanno preceduto.

Abstract

The Italian National network of culture-driven urban regeneration was created on December 2019 to promote advocacy and lobbying initiatives, as well as to raise awareness of the topic at the institutional level. It is made up of many experiences spread all over the country, many of which raised or developed thanks to “Culturability”, a grant set up by Fondazione Unipolis in 2013 in order to support culture-driven regeneration of abandoned spaces. This financial instrument represents a turning point for the development of such experiences in Italy, serving also as a reference for support programs and interventions of other foundations and public bodies. Among the main challenges, a better institutional framework with ad hoc policies and tools, an effort to achieve economic sustainability, professional acknowledgment as well as the need to preserve the cultural production function.

Approfondimenti

Per approfondimenti sui partenariati pubblico-privato per la valorizzazione del patrimonio culturale si rimanda ai vari articoli di Franco Milella pubblicati sul Giornale delle Fondazioni:

Il destino dei luoghi

Si gioca, finalmente…

Le regole di un nuovo gioco possibile

Riuso e trasformazioni degli spazi a vocazione culturale e creativa: un driver per lo sviluppo, ma a quali condizioni?

© AgenziaCULT - Riproduzione riservata

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