Nel mondo delle fondazioni lirico-sinfoniche c’è un grandissimo problema di governance, la cui soluzione non è più rinviabile. Un problema legato alle nomine di sovrintendenti e direttori artistici che lasciano dietro di sé solo dissesti economici, per non parlare dei conflitti di interesse. Incapacità o disegno politico? In ogni caso, per alcuni di loro andrebbe previsto addirittura il Daspo…. Non le manda a dire Michela Montevecchi, portavoce al Senato del Movimento 5 Stelle e membro molto attivo della Commissione Istruzione e Beni culturali di Palazzo Madama. A fronte di iniziative che “possono essere condivisibili come l’incrementare, seppur lievemente, i fondi allo spettacolo dal vivo” (che “andranno verificati in sede di Legge di Stabilità”), dichiara ad AgCult, una delle grandi preoccupazioni del M5S legate all’approvazione del Codice dello spettacolo, è “il settore delle Fondazioni lirico-sinfoniche”.
Le Fondazioni lirico-sinfoniche
Il codice dello Spettacolo rimanda all’applicazione della Legge 160 del 2016 che, secondo Montevecchi, è una “mannaia sull’intero settore. La norma prevede infatti l’obbligo di raggiungere il pareggio di bilancio, pena non solo il declassamento da Fondazione lirico-sinfonica a teatro, ma anche l’eventuale commissariamento”. Tra le altre cose, la legge prevede anche che “possano essere assunte misure economiche volte a incidere non solo sulla pianta organica apicale della fondazione, ma anche su tutta la parte tecnico-artistica, che è quella che più sta pagando in questi anni il dissesto delle fondazioni”.
Si tratta di dissesti economici dovuti a vari fattori, tra i quali – secondo la senatrice pentastellata – il problema della governance. “C’è un problema di nomine di sovrintendenti e di direttori artistici – spiega Montevecchi -, di conflitti di interesse che a volte si creano quando all’interno di una fondazione lirico-sinfonica opera un direttore che è vicino ad agenzie teatrali: non possono sfuggire i riflessi che una situazione del genere finisce per avere sull’ingaggio di certi professionisti piuttosto che di altri, sugli allestimenti, etc. La soluzione di questi problemi non può essere procrastinata”.
Il valzer dei sovrintendenti
In questi anni abbiamo assistito “a un valzer di sovrintendenti passati da una fondazione all’altra lasciando dietro di sé il dissesto. Se poi questi sovrintendenti sono il braccio armato di un governo con l’obiettivo di smantellare il comparto e di privatizzarlo allora è un altro discorso. Ma se invece vogliamo leggere la situazione in modo più candido, esiste almeno un problema di incapacità dei sovrintendenti nel gestire queste fondazioni lirico-sinfoniche”. La soluzione? “In un nostro emendamento avevamo pure previsto il Daspo per alcuni sovrintendenti…”. Nel mirino di Michela Montevecchi finiscono in particolare quei sovrintendenti “che hanno veleggiato da una fondazione all’altra lasciando dietro di sé tanti disastri”.
Nel Codice dello Spettacolo ci sono altri aspetti che non piacciono all’esponente cinquestelle. All’interno del provvedimento “è stato abbozzato un progetto anche condivisibile per la danza e il teatro, ma che a nostro avviso non è ancora sufficiente”. E ancora: “C’è pure l’istituzione del Consiglio Superiore dello Spettacolo che appare, secondo noi, con una composizione sbilanciata. La maggior parte delle nomine infatti sarà frutto di scelte politiche e poco spazio sarà dato alle categorie interessate. Quale reale efficacia avrà un organismo così strutturato che è comunque chiamato a svolgere un ruolo importante anche di monitoraggio della ricaduta della normativa?”.
L’Art Bonus
Critiche al governo sono arrivate per il frequente ricorso allo strumento – da più parti riconosciuto come efficace – dell’Art Bouns per risolvere molti problemi del settore della cultura in Italia. “L’estensione dell’Art Bonus a vari settori – spiega Montevecchi – è richiesta dagli stessi operatori di categoria. Chiaramente è l’unico strumento messo in campo in quattro anni di legislatura che bene o male sta funzionando, anche se i risultati sono ben al di sotto delle aspettative”. Uno strumento che funziona, ma c’è un però. “Contiene tuttavia in sé una stortura gravissima che è quella di aver ampliato il meccanismo anche in favore delle società concessionarie della gestione dei musei e dei monumenti pubblici. Queste società hanno quasi tutte al proprio apice dei referenti politici. Già le convenzioni con alcune di queste società non sono proprio vantaggiose per lo Stato, aver previsto anche questa procedura rischia di determinare spazi per meccanismi poco trasparenti o poco virtuosi”.
In generale e in linea di principio “il discorso sul mecenatismo va fatto e va anche perfezionato. Io personalmente – racconta il membro della 7a Commissione di Palazzo Madama – sto preparando delle proposte che prendono spunto anche dal modello francese per articolare ancora meglio l’impianto della nostra normativa per quanto riguarda il mecenatismo, da non confondere con le sponsorizzazioni”. Ma avverte Michela Montevecchi: “Non si può pensare però che il partenariato pubblico-privato debba sbilanciarsi verso il privato perché il mantra è che lo Stato non ha i soldi per fare. Abbiamo un articolo della nostra Costituzione – conclude – che ci impone di garantire la tutela e la valorizzazione. Un obbligo costituzionale oltre che un obbligo morale”.