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Claudio Bocci federculture imprese culturaliLa cultura è un servizio pubblico essenziale e le imprese del settore rappresentano strumenti di crescita economica, valorizzazione del patrimonio e aumento della coesione sociale. Il direttore di Federculture, Claudio Bocci, apre i lavori della Conferenza nazionale “La cultura fa impresa”, a L’Aquila, e richiama l’attenzione sulle potenzialità di sviluppo della cultura italiana e sulle criticità presenti. “Dobbiamo ragionare sulla specificità dell’impresa culturale e sui suoi legami con la fruibilità pubblica. Questa specificità sia posta al centro delle politiche pubbliche”.

Riuniti nel capoluogo abruzzese tanti attori del mondo della cultura italiana, dalla politica alle associazioni. La scelta de L’Aquila, ovviamente, non è casuale. La città, profondamente lacerata dal terremoto del 2009, è un esempio per Bocci di come poter conservare il concetto di “imprese di comunità”, che hanno a cuore il patrimonio paesaggistico e architettonico e che attraverso una corretta gestione possono tutelarlo e valorizzarlo.

Le imprese culturali e creative

Il complesso delle imprese culturali è segmentato in due tronconi, complementari: l’impresa culturale, che si occupa del patrimonio e della sua fruizione, e l’impresa creativa, che sviluppa i prodotti culturali. Bocci sottolinea come “questo appuntamento è stato promosso con l’obiettivo di far emergere la consapevolezza delle necessità di una disciplina normativa specifica che affermi il principio dell’eccezione culturale, in virtù della fruizione pubblica che accomuna le imprese culturali”.

I numeri del settore cultura

I numeri del settore sono importanti: il sistema produttivo, culturale e creativo vede 1 milione e 495 mila occupati, con un valore aggiunto totale di 89,9 mld di euro e oltre 400.000 imprese; il patrimonio storico e artistico annovera 53 mila occupati, 2,9 mld di euro di valore aggiunto e più di 12mila imprese; il settore performing arts e arti visive occupa 130.000 persone, con un valore aggiunto di 7.2 miliardi di euro e circa mille imprese.

“Dobbiamo lavorare su un dato: un quinto dei cittadini fruisce dell’offerta culturale – spiega Bocci –, un dato molto più basso della media europea. Per noi sono fondamentali gli accordi di valorizzazione, così come sono necessari i miglioramenti nel sistema infrastrutturale. Non possiamo immaginare problemi di accessibilità fisica. Porto l’esempio di Matera 2019: lì il problema più grosso non è il patrimonio culturale, ma come raggiungerlo. L’aeroporto più vicino è Bari, ad esempio. È un problema – aggiunge Bocci – molto serio, perché questo dimostra come spesso non si ha una politica complessiva in tema di sviluppo culturale in questo Paese”.

La necessità di una ‘visione’

C’è bisogno di una “visione”, si deve dare vita a una “pianificazione strategica e una progettazione integrata e partecipata, cosa che in parte si sta già facendo”. Per quanto riguarda ad esempio la riforma dei musei, “c’è molto da lavorare sul commitment dei direttori. C’è da chiedersi, cosa devono fare? Sbigliettare? Se è vero che il perseguimento di un’impresa culturale è pubblico, è sociale, serve un’accountability adeguata, che non può tenere conto solo dei biglietti venduti, ma che sia in grado di fare un’analisi qualitativa del lavoro prodotto”.

“In Italia – aggiunge Bocci – abbiamo attivati oltre 50 master in management culturali, però manca una committenza, una politica di sviluppo. Serve una guida centrale perché possiamo avere un promettente sviluppo di tipo occupazionale per quel tipo di lauree ‘culturali’ verso le quali stanno iniziando a mostrare interesse anche grandi player tecnologici come Google, che si stanno rendendo conto che la tecnologia mangia se stessa se non ha contenuti”.

Convenzione di Faro e Art Bonus

Bocci sottolinea l’importanza della ratifica della Convenzione di Faro, che parte dal presupposto che la conoscenza e l’uso dell’eredità culturale rientrano fra i diritti dell’individuo a partecipare liberamente alla vita culturale della comunità e a godere delle arti, e richiama l’attenzione sulla possibilità che l’Art bonus, voluto dal Mibact, possa essere esteso alle imprese culturali con fruizione pubblica. “Con l’Art bonus – spiega – abbiamo avuto risultati a macchia di leopardo. Ma è un provvedimento molto valido e può essere legato a progetti specifici e partecipati. Si potrebbe creare un mecenatismo di comunità molto utile”.

Uno statuto ad hoc per le imprese culturali

Sulla riforma del codice degli appalti “ci sono disposizioni di grande rilievo, come la norma che prevede forme speciali di partenariato attivate dal Mibact attraverso procedure semplificate per tutelare e valorizzare il patrimonio culturale nazionale”, ma, dice Bocci, “l’attuale formulazione presenta limiti notevoli. In primo luogo perché circoscrive al solo Mibact la possibilità di attivare tale forme di partenariato, escludendo altri enti pubblici, come le Regioni ad esempio. In secondo luogo perché la disposizione si limita ai soli beni culturali immobili mentre invece dovrebbe essere estesa ai beni culturali materiali e immateriali. In terzo luogo – prosegue il direttore di Federculture – servirebbe un riferimento più ampio alla ricerca e alla innovazione, quando si parla di valorizzazione del bene culturale”. Il momento è maturo, dice Bocci, per “immaginare uno statuto ad hoc per quanto riguarda le imprese culturali”.

Le prospettive

In sintesi, Bocci delinea le prospettive per un’impresa culturale innovativa e sostenibile: serve una forte relazione con la pubblica amministrazione; adeguati finanziamenti pubblici e ripensare la filosofia dei bandi; è necessaria la semplificazione amministrativa e strumenti per favorire l’occupazione nel settore. Dal punto di vista economico un aiuto importante può arrivare dall’Art bonus, da Imu e tributi locali e, eventualmente, da donazioni e sponsorizzazioni.

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