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All’indomani della conferenza nazionale dell’Aquila sulle imprese culturali, non si ferma il dibattito sulla natura e il riconoscimento della loro specificità e sulle misure da mettere in campo per sostenerle nella loro azione di ‘servizio pubblico’. Giovanna Barni, presidentessa di CoopCulture (la più grande cooperativa che opera nel settore dei beni culturali in Italia) è convinta che sia necessario “rimettere al centro e ridare il peso che merita all’impresa culturale, nell’ambito più vasto delle imprese culturali e creative”. E, conversando con AgCult, auspica “una visione strategica e integrata di come valorizzare meglio il patrimonio culturale sia nei contesti urbani che in quelli territoriali”. Il patrimonio culturale, per Giovanna Barni, non ha infatti solo la funzione di essere fruito e visitato dai turisti, ma “può svolgere un ruolo molto più ampio. Sia nell’ambito di una nuova economia sostenibile sia nell’ambito della coesione sociale, dell’inclusione, di un welfare cittadino e territoriale. È anche per questo che noi diamo grande importanza alle imprese culturali”. Tanto da auspicare che le stesse imprese culturali “siano valutate proprio dalla portata di utilità pubblica che generano”.

La conferenza dell’Aquila

A pochi giorni dalla conferenza aquilana “La Cultura fa impresa”, organizzata da Federculture, Agis, Alleanza Cooperative Italiane e Forum del Terzo Settore, è il momento di fare un primo bilancio. “Ci auguriamo – dice la Barni – che sia l’inizio di un percorso. Sono emersi tantissimi spunti e temi. In particolare, il tema ‘cultura di gestione’ ha messo in luce tante varietà di modi in cui si può portare avanti un interesse generale attraverso il patrimonio culturale”. Tutto è accomunato, secondo la presidentessa di CoopCulture, dall’idea che “si stia perseguendo un interesse pubblico, oggi tanto più necessario in quanto il Paese ha bisogno di trovare risposte: a cominciare dall’occupazione qualificata in questo settore fino al progettare uno sviluppo integrato dei territori che sia sostenibile e che veda coinvolti diversi soggetti sia istituzionali che privati”. Al fine di ritrovare “l’identità dei luoghi, ma anche di individuare soluzioni per restarci in questi luoghi”.

Le imprese culturali e creative

Per la presidentessa di CoopCulture è il momento di “rimettere al centro e ridare il peso che merita all’impresa culturale, nell’ambito più vasto delle imprese culturali e creative”. L’idea chiaramente non è quella di mettere steccati, ma “di riconoscerne il valore”. Nel caso della cooperazione ci sono imprese che “gestiscono teatri, fanno spettacoli, fanno produzione culturale e nello stesso tempo fanno produzione di oggetti. C’è anche molta contaminazione”. La cosa importante – spiega – è che, laddove un’impresa svolge un’attività (quindi è la sostanza e non la forma) di “messa a valore e di restituzione di fruizione del patrimonio culturale materiale e immateriale in forma stabile e creando occupazione duratura, questo tipo di attività deve essere riconosciuta, facilitata, agevolata”.

L’attività delle imprese culturali, infatti, ha “un valore trasversale perché favorisce le imprese creative stesse, svolge un ruolo educativo nei confronti della comunità che ha attorno e attraverso il patrimonio può ritrovare la propria identità”. È un moltiplicatore di una filiera lunga: “Dal turismo, alle nuove tecnologie, al merchandising e all’editoria. Per non parlare dell’occupazione e, in particolare, dell’occupazione qualificata”.

Il partenariato pubblico-privato

Da qui possono nascere “forme semplificate di partenariato pubblico-privato”. Che poi non è un’invenzione di oggi. “Il Codice già parla di affidamenti riservati laddove ci siano soggetti specializzati in attività culturali che in qualche modo investano in queste attività; di procedure semplificate nei partenariati pubblico-privato (che coinvolgano il privato anche nella progettazione); di agevolazioni anche sul lavoro: si tratta infatti di attività labour intensive (oltre il 45% dell’occupazione del settore è in forma cooperativa) e nel nostro caso, ad esempio, oltre il 60% del fatturato è restituito in occupazione”.

Nuove regole e una visione strategica e integrata

Per Coopculture quindi non si possono avere le stesse regole sul lavoro di un settore che non realizza questi numeri. Si parla, per fare degli esempi, “di riduzione dell’Irap, delle agevolazioni fiscali e di altre varie proposte che possono essere messe in campo all’interno di una vision strategica che territorio per territorio si renda conto di quali siano i fabbisogni maggiori e su questi individui le forme giuste per incentivare le imprese culturali”. Ci vuole quindi una visione strategica. Tuttavia, conclude la Barni, “lavorando da tanti anni in questo settore vediamo che ci sono tanti ostacoli affinché questo possa avvenire o comunque manca un riconoscimento di un lavoro svolto”.

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