Le imprese culturali e creative hanno la necessità di essere riconosciute per quello che sono. Rappresentano un mondo che vuole chiarezza normativa e che non guarda al Pubblico come a un soggetto finanziatore. È il punto di vista (ma non solo il suo) del deputato Pd Roberto Rampi rispetto al settore delle imprese culturali e creative, soprattutto di quelle guidate da tanti giovani imprenditori (“Anche se – dice – il concetto di giovane in Italia va inteso in maniera molto estensiva”). Pochi giorni fa la Commissione Cultura della Camera (di cui Rampi fa parte) ha licenziato il testo a firma Anna Ascani “Disciplina e promozione delle imprese culturali e creative”. Un provvedimento che approda nella Aula della Camera (ancora però non è stato calendarizzato) molto ridimensionato rispetto alle intenzioni iniziali che prevedevano incentivi fiscali e sostegni al settore. L’auspicio espresso ad AgCult dalla relatrice Irene Manzi è quello di portarlo in Assemblea prima della pausa estiva.
L’iter alla Camera
Anche secondo Rampi, l’impegno è calendarizzare il testo in Aula il prima possibile e altrettanto rapidamente far approvare la legge licenziata dalla VII Commissione. “Intanto – dice ad AgCult – non è poco aver incassato il mandato al relatore senza nessun voto contrario, ma con solo l’astensione della sinistra e del M5S. Probabilmente senza gli interventi della Bilancio sarebbe stato possibile portare a casa anche il voto favorevole dell’opposizione di sinistra e dei Cinquestelle”. In Aula si ricomincia da capo? “Ci sarà qualche tentativo di recuperare alcuni interventi. Certo, anche lì ci sarà il vaglio della Bilancio, ma noi non chiudiamo le porte a miglioramenti. Mi sento però di chiedere a tutti i gruppi, una volta approvata la legge alla Camera, di non fare modifiche al Senato, altrimenti si rischia di non arrivare a fine legislatura”.
Rampi, che ha nel curriculum anche un passato da operatore culturale, è comunque soddisfatto dei risultati ottenuti, pur consapevole che si era partiti con ben altri obiettivi. “La Commissione Bilancio fa il suo lavoro – spiega -. È chiaro che, in occasione della Legge di Bilancio, non è semplice aggiungere risorse se nell’ordinamento italiano le imprese culturali e creative non esistono”. Diverso sarebbe il discorso nella prossima Finanziaria. “Forse nella nuova legge di Bilancio potremo far passare l’idea di applicare alcune questioni anche a questa tipologia di impresa”.
Non solo ‘start’ ma anche ‘go’
La legge Ascani era nata come un provvedimento che doveva dare sostegno e aiuto alle start-up culturali, ma nel corso del tempo quel testo ha cambiato pelle. “Io rappresento e condivido il punto di vista di una rete organizzata di giovani imprenditori della cultura. Grazie a loro e grazie soprattutto all’impegno della Fondazione Fitzcarraldo con ArtLab a Mantova, Milano, Lecce, è stato fatto un lavoro intenso su questa legge. La legge è cambiata tantissimo rispetto alla sua partenza che riguardava le start-up culturali ed è diventata una legge che non si pone più solo il problema dello ‘start’ ma anche e soprattutto quello del ‘go’. Si pone l’obiettivo di focalizzare una realtà consolidata, riconosciuta in Europa, che ormai ha una sua storia”.
Il mondo delle imprese culturali e creative
Fino ad oggi il mondo degli imprenditori culturali ha incontrato grandi difficoltà ad essere riconosciuto in Italia. “Non è raro in questo paese – racconta Rampi – che il mondo dell’impresa consideri il settore della cultura e chi ci lavora come persone che portano avanti un hobby. Come, del resto, non è raro che ci sia un pezzo del mondo della cultura che guarda alla parola impresa con diffidenza”. Tuttavia, esistono imprenditori “che non fanno questo solo per soldi, altrimenti farebbero altro nella vita, ma che coniugano valori e obiettivi di crescita culturale, di aggregazione di sviluppo civile con la realtà di una sostenibilità economica”.
Per questo mondo, assicura Rampi, quello che conta oggi è il riconoscimento della loro specificità. “Il valore di essere riconosciuti per quello che sono è un valore molto importante e per niente effimero. Certo, se fossimo riusciti da subito a mettere nella legge anche incentivi, sostegni e semplificazioni non sarebbe stato male”. Ma non è solo questo che conta. “Queste imprese non guardano al Pubblico come a un soggetto finanziatore, come qualcuno da cui dipendere. È un mondo che vorrebbe avere un po’ di chiarezza normativa. Già un buon risultato sarebbe se da questa legge partisse la possibilità che tutti i bandi comunali e regionali si allineino nel dire qual è la tipologia di impresa a cui si rivolgono. Oggi non esiste una definizione, una regola, un albo”.
Chi sono gli imprenditori culturali
Rampi conclude la conversazione con una battuta che poi tanto battuta non è e che aiuta a capire chi sono gli imprenditori a cui si riferisce. “Le facce degli imprenditori che ho davanti quando giro l’Italia a parlare di questi temi sono facce di ragazzi che quando vanno all’anagrafe a dichiarare che lavoro fanno, finisce che nella loro categoria devono scrivere ‘altro’. Ecco, è ora di smettere di scrivere ‘altro’”.
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