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L'Associazione Nazionale Archeologi si è interrogata sulla reale consistenza delle polemiche che da tempo riguardano la guida di molti dei musei e delle aree archeologiche autonome del Paese, e che di recente si sono concentrate in particolare sulla figura del Direttore del Museo Egizio di Torino

In merito alla questione sollevata in questi giorni sulla gestione dei musei in Italia, l’ANA – Associazione Nazionale Archeologi si è interrogata sulla reale consistenza delle polemiche che da tempo riguardano la guida di molti dei musei e delle aree archeologiche autonome del Paese, e che di recente si sono concentrate in particolare sulla figura del Direttore del Museo Egizio di Torino. In proposito, il Comitato Tecnico Scientifico dell’ANA, presieduto da Paolo Güll e composto da archeologi professionisti, funzionari e professori universitari, ha elaborato un breve documento nel quale invita politici e tecnici al rispetto dei rispettivi ruoli e dei rispettivi ambiti per garantire la migliore gestione del patrimonio culturale italiano. “Il dibattito politico al quale abbiamo assistito in questi giorni”, dichiara Alessandro Garrisi, Presidente Nazionale ANA, “a tratti particolarmente povero e scadente, dimostra quanto sia necessario garantire a chi dirige i nostri luoghi della cultura la più ampia indipendenza scientifica nell’amministrazione della propria istituzione, nel rispetto degli indirizzi forniti dalle specifiche normative di settore. Anche quando la gestione del patrimonio viene indirettamente garantita dallo Stato attraverso strumenti amministrativi quali le Fondazioni, che sono istituzioni previste e regolate dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio e non devono essere considerate strumenti da mettere a disposizione di logiche spartitorie”. “Il documento elaborato dall’ANA”, spiega Paolo Güll a nome del Comitato Tecnico Scientifico, “vuole essere un appello, rivolto a chi oggi governa il Paese, ad operare in modo tale che i legittimi indirizzi politici non interferiscano in modo improprio con il livello operativo delle istituzioni culturali, valutando la gestione delle singole realtà non attraverso lenti ideologiche, ma sulla base dei risultati ottenuti da chi amministra i vari musei, luoghi della cultura, e spazi in cui il patrimonio culturale viene conservato e, spesso, creato”.

Si legge nel documento dell’ANA: “Il dibattito di questi giorni sulla gestione dei musei in Italia si sta concentrando su elementi pretestuosi che alzano una cortina fumogena dinanzi al più generale, e superiore, punto della questione. Il nostro ordinamento si basa in ogni suo aspetto sul principio di cercare di evitare la concentrazione di una eccessiva quantità di potere non solo ai vertici dello Stato ma all’interno di tutti i suoi organi e di tutte le sue funzioni. Anche nell’ambito culturale, se è all’organo politico (il ministero) che spetta il compito di indirizzare le scelte politiche dei suoi uffici per dare applicazione ai mandati che l’ordinamento gli attribuisce, questo deve avvenire senza che vi siano interferenze continue tra il piano politico e quello tecnico. Che il patrimonio culturale abbia una funzione ‘politica’ e che sia, ad un livello superiore, oggetto di scelte politiche non è solo inevitabile ma forse anche opportuno: cercare di sterilizzare il suo ruolo politico in nome di una presunta assoluta autonomia tecnico scientifica (opzione che abbiamo sperimentato per tutta la Prima Repubblica) se mette al riparo dalle ingerenze, tuttavia, scava un fossato tra patrimonio e società con conseguenze deteriori a lungo termine per la salute del sistema. Questo però riguarda le grandi scelte di fondo, quelle che si fanno nelle aule del Parlamento in virtù del mandato conferito dai cittadini”.

“Poi c’è un livello ‘gestionale’ – prosegue l’Associazione Nazionale Archeologi – il cui indirizzo generale deriva da una scelta politica (pensiamo al caso delle nomine dei direttori dei musei dotati di autonomia speciale) ma che poi è destinato a vivere di vita propria e ad essere valutato in base alla bontà dei risultati. I quali non possono certamente essere misurati solamente in termini economici (anche quelli), ma soprattutto rispetto alla promozione della conoscenza del patrimonio culturale e all’obbiettivo di assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, tutto questo con il fine ultimo di promuovere lo sviluppo della cultura anche a vantaggio delle comunità e dei territori. Possiamo, forse, tutti riconoscere che tra le tante nomine fatte nella stagione dei musei autonomi inaugurata nel 2014, ci sono delle eccellenze assolute che hanno saputo profondamente innovare istituzioni che vivevano una fase di sofferenza. Una gestione politica lungimirante dovrebbe conservare e sostenere le risorse umane in grado di assolvere al loro compito con rilevanti risultati. Ma perché questo sia possibile i ruoli devono essere ben distinti, e se in passato il meccanismo di nomina ha assunto nelle fasi finali delle selezioni un sapore di cooptazione basato su principi arbitrari, questo non deve essere pretesto per ripetere lo stesso errore, aggravandolo con nuove e più grandi invasioni di campo”.

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