
In due giorni (18-19 Ottobre a Milano in Triennale) ha preso vita la presentazione di una carrellata sull’evoluzione dei centri di produzione culturale dal 2008 in poi, con una particolare attenzione a casi milanesi, insieme a molte domande aperte e scenari futuri. Tanti i punti di contatto riassumibili nelle parole “luogo”, “relazione”, “multidimensionalità”. Il cuore è stato lanciato oltre l’ostacolo dall’Associazione cheFare, che dal 2012 studia, ascolta, supporta, promuove, diffonde le buone pratiche della produzione culturale dal basso, per guardare al prossimo futuro e immaginare azioni concrete verso una riappropriazione del protagonismo delle comunità dal basso…da attivare “Molto presto”.
Cosa abbiamo ascoltato? Riflessioni e confronti sui “luoghi di incontro di reti, comunità e organizzazioni nate in risposta alla crisi economica del 2008, portano avanti pratiche culturali collaborative basate sulla partecipazione e sull’attivismo, nelle città, nelle campagne, al Sud come al Nord, costruendo spazi di confronto “ secondo Bertram Niessen, direttore scientifico di cheFare e ideatore del format, in suo recente articolo.
I PANEL
Ospite della Triennale di Milano, grazie al Presidente Stefano Boeri e alla Direttrice artistica Lorenza Baroncelli, l’Associazione ha invitato diversi pratictioners della produzione culturale attuale, aprendo con keynote di Ezio Manzini sugli esperimenti di “ribellione” dei nuovi centri culturali, per passare ad approfondimenti sulla scena milanese con i panel “XX(I)° secolo: nuovi centri culturali e industrie culturali” e “Oltre l’ecosistema: terapia di gruppo per Milano e i nuovi centri culturali”, fino a una riflessione sulla curatela di contenuti culturali condotta da vari esponenti italiani in “Simboli, relazioni, estetiche e ambienti: la curatela dei nuovi centri culturali”, per chiudersi con la lettura del volume “Dove. la dimensione di luoghi che ricompone impresa e società “ di Flaviano Zandonai e Paolo Venturi. (leggi la recensione di Francesco Mannino per “Letture Lente”)
UNO SGUARDO D’INSIEME
Minimo comune denominatore di queste esperienze sono i luoghi con le persone dentro che insieme generano relazione col territorio.
C’è anche una certa connotazione generazionale (dai 35 ai 50 anni) dei pratictioners invitati, accumunati dalla passione culturale e militanza, con diversi cambi di pelle nel tempo fra centri sociali, movimenti, collettivi, associazioni, fino ad arrivare alle imprese sociali. Ma le differenze permangono fra le dimensioni variabili e i contenuti ibridi: la produzione infatti non è più mono disciplinare, ma aperta su più fronti interdisciplinari, costruendo un’offerta culturale trasversale che si sposa ad attività commerciali e incrocia pubblici diversi.
La situazione è frutto dell’eredità della stagione dei Bandi per l’innovazione sociale a base culturale, nata come risposta alla contrazione delle politiche pubbliche per la cultura dopo la crisi e riduzione di fondi del 2008, che ha mobilitato e connesso persone in tutta Italia, intorno al confronto su cosa fosse necessario fare per difendere la produzione culturale del Paese, facendo dialogare per la prima volta istituzioni culturali, enti filantropici , sponsor e istanze generative dal basso, rimettendo in discussione i processi.
Oggi le storie, a geografia variabile e multidimensionalità, da un esperimento spontaneo sono diventate imprese faticosamente sostenibili, ma soprattutto luoghi di riferimento dove il pubblico, cercando la soddisfazione di bisogni intellettuali, di riappropriazione delle comunità.
GRETA THUNBERG NELLE POLITICHE DEL QUOTIDIANO
Ezio Manzini ha posto sul piatto la sfida dei nuovi movimenti globali, quali Friday for the future di Greta Thunberg, come risposta a urgenze di cambiamento sono non più rimandabili. Non basta voler cambiare il mondo. Il mondo è già cambiato e necessita di una frenata.
Allora come sposare le istanze ribelli che mobilitano opinione pubblica, con pratiche di quotidiana negoziazione e produzione di contenuti? La proposta è guardare cosa c’è in questi nuovi movimenti e far convergere queste reti in community hub. Includere istanze ambientaliste nei centri culturali che sono i motori di trasformazione dal basso, dove i comportamenti si prototipano. Ribellione costruttiva, capace di dirottare la pura protesta. Anche i centri ne possono beneficiare, allargando la loro influenza verso un “localismo cosmopolita”, facalizzandosi su un nuovo umanesimo dove l’uomo non è al centro del sistema, ma nemmeno lo osserva distaccato: ripensa il suo ruolo nell’ecosistema. La domanda di apprendimento è forte. Le persone vogliono imparare, abilitarsi, crescere: ciò significa diventare reti esperte, non “improvvisate”, al fine di avere influenza sui decisori.
I PRACTITIONERS
Ogni testimonianza ha restituito quella varietà di luoghi e proposte che abbiamo sottolineato. Difficile identificare ricette di successo. Sicuramente sono ingredienti i leader, un lavoro di ascolto in profondità e osmosi con il territorio di riferimento, unito a proposte ampie di engagement che favoriscono la frequentazione di questi luoghi.
Dall’altro lato i timori dei pratictioners rispetto alla sopravvivenza delle loro esperienze abbracciano diversi temi. La gentrificazione, ovvero la cannibalizzazione delle loro pratiche innovative e inclusive per scopi di profitto di altri soggetti del mercato, è uno spauracchio sempre presente, considerato anche il caso di Milano che negli ultimi dieci anni ha visto una forte politica di speculazione immobiliare. Ciò significa che il presidio politico rimane importante.
I nodi e complicazioni normative inoltre non aiutano ad amplificare la distribuzione di cultura e la libera iniziativa, ma talvolta mettono in discussione la vita stessa delle organizzazioni. Il dialogo a intermittenza con l’amministrazione pubblica, vittima degli avvicendamenti elettorali, mina il consolidamento delle organizzazioni minacciandone il futuro, soprattutto non risolvendo il tema delle concessioni degli spazi. Ci sono anche rischi interni, come l’implosione verso una propria autoreferenziale ideologia che chiude invece di includere, o viceversa la perdita di identità per troppa inclusione e assecondamento di pubblici. Altro punto chiave le urgenze di sostenibilità che possono sbilanciarsi a favore della gestione delle cosiddette “birrette” (metafora delle attività accessorie profittevoli che bilanciano i piani finanziari) e a scapito della ricerca e proposta di contenuto.
Tra i messaggi positivi rilevati tra gli operatori è la consapevolezza che cooperare è più conveniente che competere e che la professionalizzazione aiuta a caratterizzarsi, essere riconoscibili dal pubblico e quindi scelti per la propria qualità.
L’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA
Sono stati invitati anche esponenti dell’amministrazione pubblica per le note a margine dei panel. L’Assessorato alla Cultura lancerà a breve un’indagine su territorio e musei, partendo dall’ osservazione che tutti i luoghi del circuito museale vivono dentro le mura spagnole, a scapito di più ampia distribuzione quindi accessibilità. L’idea è lavorare sul piano strategico 2021, partendo da un ascolto dei bisogni dal basso, per co-progettare.
IL VALORE DEI LUOGHI
La rilettura di Marianna D’Ovidio dell’ultima fatica di Flaviano Zandonai e Paolo Venturi “Dove” in chiave sociologica, conferma la tesi dei due autori che dai luoghi rigenerati possono nascere infrastrutture sociali capaci di coagulare spazio, territorio, relazioni e scambi, in grado di cambiare l’economia, modificare l’approccio del Pubblico e rivitalizzare la società civile. La società dimostra di volersi riappropriare del controllo del mercato, ormai distante anni luce a causa della globalizzazione e finanziarizzazione, attraverso iniziative generative che stanno in luoghi e comunità molto connotate e incredibilmente resistenti alla scalabilità.
CONCLUSIONI
Una chiosa finale di Bertram Niessen “Quando si organizzano incontri sui mondi della cultura dal basso è sempre difficile trovare un bilanciamento: da un parte è giusto dare spazio al maggior numero possibile di realtà, dall’altra non si possono ospitare tutte come speaker perché per costruire un discorso bisogna innanzitutto scegliere. È importante trovare linguaggi accessibili e allo stesso tempo fare in modo che il livello resti sufficientemente alto da costituire una sfida per tutti; bisogna evitare il vuoto presenzialismo autocelebrativo e allo stesso tempo il crogiolarsi nella pura narrativa della “lamentela”.
Credo che con Molto Presto siamo riusciti a costruire il giusto equilibrio tra tutti gli elementi, ed il quadro che ne è emerso è un panorama complesso e ricchissimo.
Non si tratta di fenomeni residuali: i nuovi centri culturali sono una delle principali infrastrutture civiche e culturali d’Italia ed è il momento di iniziare a prenderne coscienza in modo compiuto. Quello che è emerso da Molto Presto è una chiamata all’azione per tutti: attivisti culturali, ricercatori, policy makers, politici, artisti e giornalisti”.
Abstract
Talking about new cultural centers means talking about the contradictions, possibilities and limits of this world. To do so, on 18 and 19 October 2019 in Milan, cheFare invited activists, researchers, writers, artists, cultural operators and policy makers to “Molto Presto, prospects for action of the new cultural centers”, a two-day event of reflection and debate on the new cultural centers and their role in the Italian cultural and civic fabric. During the event, the Department for Culture [Assessorato alla Cultura] of the city Milan announced that it will soon launch a study to prepare a new strategic plan aimed at creating and making accessible local cultural spaces building on bottom-up initiatives and needs.