
Con il DM 161/2023 e soprattutto con l’allegato CIRCOLARE 10, il MIC informa tutti i suoi istituti sulle “Linee guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali.”
Fondamentalmente il documento descrive due diverse tipologie di concessioni:
- riproduzione di beni;
- uso degli spazi.
Per quel che concerne l’uso degli spazi vengono definite tariffe minime e massime in base alla dimensione dello spazio che vanno moltiplicate per un coefficiente per classi di pregio (media, alta, eccezionale).
Nel documento viene riportato che: Ai fini della valutazione in ordine alla classe di pregio degli spazi, si riporta di seguito una serie di elementi per la valutazione relativa allo spazio a cui si intende riconoscere una classe di pregio alta o eccezionale:
- alto numero di visitatori (da tenere presente in relazione ai mancati introiti da bigliettazione);
- testimonianza unica o eccezionale di un’epoca e/o di un periodo storico;
- influenza sullo sviluppo e sulla progettazione del periodo di riferimento;
- realizzato su commissione di eminenti casate e/o eseguito da architetti e/o artisti di rilevanza;
- caratterizzato dalla presenza di affreschi, stemmi, mosaici graffiti, lapidi, iscrizioni, tabernacoli ed altri elementi artistici (come intagli, intarsi, ori, bassorilievi), architettonici (chiostri, volte, baldacchini, rosoni, capitelli, volute, altari, capriate, navate, ecc.) e/o decorativi;
- presenza di collezioni d’arte permanenti (arredi, mappe, stampe antiche, ecc.);
- conformità rispetto alle tecniche costruttive e ai caratteri architettonici e stilistici originali.
Il tutto va ulteriormente moltiplicato per i coefficienti esplicitati nelle sezioni seguenti, individuati diversamente a seconda dell’uso:
- uso individuale:
– per finalità istituzionali (ad esempio, per eventi organizzati nell’ambito di collaborazioni istituzionali tra enti privati o soggetti pubblici con il Ministero);
– per finalità non lucrative o non commerciali;
– per finalità lucrative o commerciali;
- uso individuale o privato per finalità lucrative o commerciali connesse alla riproduzione.
In tutti i casi dal calcolo emerge sempre un contributo da versare all’ente concessionario.
Nel documento non c’è distinzione alcuna tra il tipo di soggetto richiedente, ovvero se trattasi di un soggetto profit o di un soggetto non profit.
C’è da dire che il tentativo del Ministero rispetto alla responsabilizzazione degli istituti della cultura a garantirsi forme di introiti che esulino dalla sola bigliettazione, dal classico merchandising o dai fondi stanziati dallo Stato, è sicuramente ammirevole e va verso un modello più internazionale di sostenibilità ma in questo tipo di approccio intravediamo qualche rischio.
Se l’uso dei luoghi della cultura viene visto solo come una attività di tipo commerciale il rischio è che i luoghi della cultura perdano almeno in parte la loro identità di beni comuni che accolgono e anzi creano una comunità di appassionati sostenitori aprendo alla fruizione da parte della comunità di questo bene, piuttosto che di un luogo che è vincolato nel suo uso alla produzione di un profitto.
Pensiamo ad esempio ad una biblioteca, che in genere ospita iniziative culturali e sociali organizzate da realtà del territorio come enti di terzo settore che per legge sono coinvolti in processi di co-programmazione e co-progettazione delle politiche e dei programmi che riguardano l’interesse generale (Codice del Terzo settore), se dovesse monetizzare l’uso di questi spazi per tali attività. Ciò metterebbe in grave difficoltà le organizzazioni che non perseguono finalità di lucro così come ostacolerebbe quel necessario processo di creare attorno alle istituzioni culturali una community che concorra alla loro valorizzazione e fruizione.
Sono tantissime le piccole organizzazioni non profit che, negli anni, hanno chiesto ospitalità agli istituti della cultura per convegni, presentazione di libri, piccoli eventi dedicati ai soci perché alla ricerca di una sede che da sola desse prestigio al loro evento o più semplicemente perché una sede adatta nemmeno ce l’hanno.
È stato anche un modo per riscoprire i luoghi, per permettere alle persone di entrare in connessione con posti che magari non avevano mai frequentato prima.
Con questo decreto ministeriale si corre il rischio di escludere dalla fruizione di questi luoghi proprio i più piccoli, i meno dotati economicamente, i più semplici. Ma non sono forse proprio questi soggetti ad aver maggior bisogno di accesso alla cultura?
Per i soggetti profit, che usino i luoghi per i loro prestigio e la loro bellezza a scopo promozionale e commerciale, nessun problema: si continueranno ad organizzare mega convegni ed eventi di gala e lo si continuerà a fare nelle più belle e prestigiose location che il nostro straordinario patrimonio ha da offrire.
Qui c’è poi un altro rischio. Spesso le piccole organizzazioni ma anche le piccole aziende si sono rivolte più facilmente all’istituto culturale per così dire minore (è innegabile che in Italia ci siano delle vere e proprie star del patrimonio) poiché più facili da contattare, con più probabilità di una risposta positiva, perché semplicemente più “a portata di mano”. Ma ora cosa succederà?
I ricchi continueranno a scegliere i big, poiché potranno permetterselo e le piccole organizzazioni (soprattutto le non profit) non potranno permettersi neanche il piccolo museo e saranno quindi penalizzati proprio i piccoli istituti che finiranno per essere fanalino di coda delle scelte.
In realtà la distinzione profit/non profit non è di per sé esaustiva. Infatti non tutte le iniziative sono uguali e anche il mondo for-profit spesso porta contenuti non solo promozionali o di marketing ma anche di valore sociale/culturale/artistico, difficili da sintetizzare in un coefficiente. Si tratta di iniziative che spesso si inseriscono nel quadro delle attività di RSI- responsabilità sociale d’impresa ma che, se vincolate a costi troppo elevati, rischierebbero di essere scartare a priori.
E allora torniamo a riconfermare il sostegno alla responsabilità degli istituti rispetto agli introiti ma forse non è far pagare tutto e tanto la strada migliore.
Persino l’idea di pagare 1 euro in più a biglietto dal 15 giugno al 15 settembre per rimediare ai danni dell’alluvione sul patrimonio (Consiglio dei Ministri della giornata di martedì 23 maggio: decreto contenente i primi provvedimenti per fronteggiare l’emergenza maltempo in Emilia Romagna) appare come una coercizione, un costo, una tariffa e non una scelta libera di unirsi nel dono ai nostri fratelli sommersi dall’acqua e dal fango, quale è, come dimostra l’adesione alle campagne di raccolta fondi di questi giorni.
Se vogliamo davvero andare verso un modello più internazionale di reperimento delle risorse per il patrimonio culturale (che per gli Italiani è innanzitutto bene comune) la strada non può che essere quella del fundraising, in tutte le sue forme, verso tutti i suoi stakeholders.
Allora si potrebbe cominciare col formare i dirigenti e i funzionari degli istituti culturali sul fundraising ed andare così anche in ottemperanza di un altro decreto ministeriale, il DM 23/12/2014 “Organizzazione e funzionamento dei Musei Statali”, che all’articolo 4 dice che:
Nell’amministrazione dei musei statali è assicurata la presenza delle seguenti aree funzionali, ognuna assegnata a una o più unità di personale responsabile:
- a) direzione;
- b) cura e gestione delle collezioni, studio, didattica e ricerca;
- c) marketing, fundraising, servizi e rapporti con il pubblico, pubbliche relazioni;
- d) amministrazione, finanze e gestione delle risorse umane;
- e) strutture, allestimenti e sicurezza.
In conclusione è necessario guardare alla necessità di sostenibilità economica degli istituti della cultura in un’ottica di complessità, ovvero nella logica di fundraising mix che, guardando a diversi mercati, garantisce la diversificazione degli “introiti” e contemporaneamente favorisce lo sviluppo di community che si uniscono nel dono per il bene comune.
Ad esempio: perché non integrare l’uso dei luoghi con programmi di membership delle aziende (come avviene in tutte le istituzioni culturali nel mondo e anche in alcune italiane) garantendo così un rapporto di medio lungo periodo con una azienda e non una semplice occasionale vendita di servizi, rendendola quindi partecipe della più generale esigenza di sostenere i nostri beni culturali?
Per sviluppare al meglio il fundraising sarebbe utile la possibilità di prevedere una deroga o condizioni diverse – anche con regolamento interno – dando a direttori e dirigenti la possibilità di una qualche forma di flessibilità quando si parla di donatori o sponsor, di iniziative con valore diverso da quello strettamente commerciale o di brand awarness.
Il senso è quello di perseguire il principio che, se voglio farti affezionare anche economicamente ad un luogo, è necessario che quel luogo tu possa sentirlo accogliente. Tariffe e coefficienti moltiplicativi (che in taluni casi arrivano a cifre improponibili anche per Rockefeller) non sono sicuramente la strada maestra.