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LETTURE LENTE - rubrica mensile di approfondimento
Una conversazione di Giovanni Teneggi con Daria Menichetti, Antonio Pisano e Jules Peculiar
© Foto di Daniele Bucciarelli su Unsplash

Il testo che segue è frutto di una conversazione di Giovanni Teneggi con Antonio, Jules e Daria, per il dossier Coltivare Comunità di Letture Lente. “Mie le domande, qualche didascalia e tutta la curiosità per il loro arrivo ad abitare, allestire e trasformare l’Appennino Tosco-Emiliano della Provincia di Reggio Emilia, lo stesso territorio che io vivo da nativo. Loro tutto il resto, con il racconto delle ragioni e degli obiettivi che coltivano quotidianamente fra biografia, competenza e visione politica per la Terra, vista da questi territori. La chiamano e la desiderano comunità” (Giovanni Teneggi).

Daria e Francesco. Genieri culturali della comunità di Nismozza

Daria ha scelto di abitare con Francesco e ora la piccola Gea, loro figlia, il paese di Nismozza, nel comune di Ventasso. Sono artisti del teatro e della danza, un po’ solitari e legati alla terra. Ci raccontano, con le parole di Daria, della scoperta dell’Appennino come luogo di realizzazione di una comunità nuovamente “radicata” ma in conversazione con tutto il resto, come opportunità di un’azione politica che esige il riallestimento di una comunità/paese aperta, vocata alla bellezza, nell’ascolto universale di bisogni e desideri delle persone. Ascoltandola vengono alla mente gli Alberi della Fraternità che Stefano Mancuso racconta tenere insieme la Terra connettendone le radici. “Ma la cultura – competenza in gioco in questa prospettiva – è anche un lavoro”, scrive Daria, ricordando la pazienza di “accreditarsi dal di dentro”, fra la gente come nelle istituzioni. Un “atto sovversivo e politico” nel suo costruire e nel suo affidarsi.

Da Preci a Nismozza. Abitare l’Appennino come azione politica e sovversiva

Io e Francesco lavoriamo come interpreti e registi-coreografi nell’ambito del teatro e della danza da circa vent’anni. Lavoriamo insieme a diverse compagnie italiane, ma portiamo avanti anche un nostro lavoro autoriale. Io ho lavorato a Preci, un piccolo comune Umbro nel cuore del parco nazionale dei Monti Sibillini colpito dal sisma del 2016, partecipando un gruppo di lavoro fra attori, registi, architetti, paesaggisti, progettisti culturali per l’avvio di “Corale”, un’azione tesa a ricostruire il tessuto relazionale e sociale con gli strumenti della cultura, del teatro, della danza, dell’architettura effimera, lavorando insieme alla comunità locale. Assieme a Francesco lavoriamo invece da diversi anni a “Teatri del Cimone”, un Festival che si tiene sull’Appennino Modenese ideato e diretto da Cajka Teatro d’Avanguardia Popolare di Modena. Cito queste due esperienze lavorative legate a territori che vengono definiti “aree interne” perché, richiamando le origini nismozzesi di Francesco, ci hanno portati progressivamente a trasferirci sul territorio di Ventasso, proprio a Nismozza.

Da Preci a Nismozza il passo, nella narrazione di Daria, sembra breve e parrebbe di trasferimento. Le sue parole e la sua emozione ci parlano invece di profondità e radicamento. Il loro viaggio si presenta “a ritroso”, fino al richiamo delle origini di Francesco e al compimento di una biografia per entrambi e insieme. Dal lavoro artistico all’azione civile, l’abitare è il gesto politico definitivo e necessario.

Lo abbiamo deciso e fatto nel 2020, il giorno prima del lockdown. I primi due anni di residenza in Appennino, complice la pandemia e la sospensione del lavoro, sono stati come una bolla, fuori dal mondo. Nel frattempo, però, abbiamo studiato: io mi sono laureata al DAMS di Bologna, siamo diventati entrambi educatori cinofili, Francesco una Guida Ambientale Escursionistica. È nata nostra figlia, Gea, come la terra. Il suo nome è un tributo ai luoghi che abbiamo deciso di abitare, con un atto sovversivo, una scommessa, un atto politico. Potevamo scegliere qualsiasi altro posto, ma siamo stati richiamati dal fascino che questi luoghi portano con sé, con la loro natura, ancora così presente, la bassa densità abitativa, lontani dall’inquinamento acustico e visivo e, in qualche modo, anche chimico. Siamo entrambi degli esseri abbastanza solitari. I primi due anni sono trascorsi così, un po’ fuori dal mondo.

Fare insieme un presepe vivente. Il lavoro culturale come spazio e tempo di prossimità

Lentamente abbiamo poi iniziato a intrecciare relazioni, conoscere le persone più prossime. Abbiamo offerto delle lezioni di movimento consapevole ad un gruppo di signore di Nismozza e questo fare insieme – questo abitare fianco a fianco – ci ha portati, piano piano, a relazionarci sempre di più con gli abitanti del borgo. Nel mese di agosto del 2022 abbiamo organizzato un piccolo festival teatrale all’aperto, con tre spettacoli (due di teatro e uno di danza). È stato un esperimento piuttosto casalingo nell’organizzazione, ma la risposta da parte della comunità di tutto il Comune di Ventasso – e anche oltre – è stata incredibile.

Nel percorso di Daria, Francesco e Gea, l’abitare il paese che hanno scelto come loro libera determinazione non è merito e nemmeno diritto. È primariamente (e necessariamente) azione e responsabilità. Non riguarda l’infrastruttura materiale (la casa) ma quella immateriale (la comunità). Non ci dicono di come hanno restaurato le mura, ma di come hanno cercato le relazioni come spazio di accoglienza, scambio, rappresentazione comune. La loro esplorazione è fra la gente e ugualmente fra le “loro” istituzioni: quelle informali delle aie e quelle formali della collettività. Gli appunti di viaggio sono di grande coerenza: solo bene-dizione e ricerca degli spazi costruttivi possibili.

Nello stesso periodo abbiamo portato avanti un corso di movimento consapevole con delle signore di Collagna – un paese vicino – e abbiamo iniziato una collaborazione con un’azione della SNAI (Strategia Nazionale delle Aree Interne) attiva sul territorio e condotta dalle cooperative di comunità del territorio, Briganti del Cerreto e Valle dei Cavalieri. L’iniziativa offre alle persone over 65 di vivere e condividere insieme un tempo di attenzione al corpo e alla creatività, attraverso la musica e il movimento. Nel mese di dicembre del 2022, seguendo la visione dell’Assessore comunale alla Cultura che immaginava Nismozza come scenario ideale per un presepe vivente, abbiamo provato a realizzarlo assieme agli abitanti del paese. É stata un’occasione di creazione di comunità, nel fare comune, nel prepararci, nel perfezionarci, nell’accogliere gli spettatori regalando bellezza.

Nasce un’associazione stabile. Il lavoro culturale istituisce comunità

Questa esperienza ha unito molti degli abitanti residenti ma ha coinvolto anche persone che hanno le seconde case nel borgo e abitanti di paesi limitrofi, tanto da far nascere la voglia di creare un’Associazione di Promozione Sociale che si chiama INTELFADE. L’obiettivo è di creare eventi culturali sul territorio, promuovere la cultura del teatro, della danza, della musica, di tutte le arti performative unite all’ambiente. In questi luoghi ovviamente c’è molto margine di lavoro non essendoci molte altre offerte di questo genere, tuttavia siamo pur sempre dei “pianšan” che vengono da fuori, e questo può essere un ostacolo nei territori di montagna. Ci vuole del tempo per farsi conoscere e guadagnarsi la fiducia. La cosa che abbiamo notato è che qui qualsiasi cosa fai, ha una risonanza molto grande, lo vengono a sapere tutti! Nel bene come nel male. Noi cerchiamo di fare il nostro lavoro al meglio.

“Ci vuole del tempo per farsi conoscere e guadagnarsi la fiducia”. Il riconoscimento non è un merito unilaterale per ciò che si porta arrivando con la “pretesa” di abitare un paese e nemmeno un rito iniziatico. Daria e Francesco ce lo rappresentano come un’acquisizione comune, resa possibile dalla conoscenza e da una consapevolezza nuova e comune. Scoprono il bisogno di comunità – “un paese (che) ci vuole” -, che pensavano loro e familiare, come aperto e collettivo. La “rappresentazione” si conferma come condizione per lo sviluppo e la sua rappresentanza. Ricomponendone il processo, possiamo dire, allora, che “anche con la cultura si mangia”, per la parte che questa dimensione ha nello sviluppo economico dei territori che cercano, dentro e fuori, “aspiranti abitanti”.

Nel territorio abbiamo subito instaurato un dialogo con Legambiente Ligonchio (L’ostello dei Balocchi) collaborando alla scrittura di un progetto per un bando Erasmus. Risuoniamo molto bene insieme, parliamo un po’ la stessa lingua. Per portare avanti il nostro progetto culturale, che ha tra gli obiettivi la creazione di un Festival stabile di Teatro, danza e musica sui borghi del Ventasso, occorre un lavoro intenso di reperimento di finanziamenti, oltre all’appoggio delle istituzioni locali e regionali: non bisogna mai dimenticare che quello della cultura è comunque un lavoro. L’intento è quello di condividere con questi territori lavori di alta qualità, senza perdere il legame con le comunità locali. Il desiderio è quello di creare il festival da dentro, dal cuore pulsante degli abitanti dell’appennino. Per noi il Teatro, la Danza la Musica, le arti performative sono un’occasione per creare momenti di condivisione, relazione, comunità attraverso la bellezza.

Antonio e Jules. Da Londra a Cervarezza per un Girotondo globale e comunitario insieme

Antonio e Jules sono professionisti di infrastruttura. La disegnano, la progettano e sono in grado di organizzarne la realizzazione. Lo facevano lavorando da Londra e ora, invece, da Cervarezza. Non è un’ordinaria storia di smartworking, ma una straordinaria storia di comunità. La loro – familiare -, quella locale che hanno scelto di abitare e partecipare, quella globale, che sta lì con loro e sentono di abitare ugualmente con la stessa intensità.

Il racconto di voi e il viaggio. La scelta. Da dove venite e cosa vi ha portato o attratto in Appennino? Perché proprio a Cervarezza?

Come colleghi ci siamo conosciuti nel circuito dell’innovazione aziendale dell’industria delle costruzioni inglese. Per alcuni anni, parallelamente alle professioni di project manager e di architetto, abbiamo lavorato in varie organizzazioni di settore per migliorare l’impatto ambientale, l’innovazione digitale, la parità di genere e la trasparenza dei processi.

Dopo aver toccato con mano i limiti strutturali di capacità di cambiamento delle costruzioni, per alcuni anni ci siamo cimentati in viaggi avventura a basso impatto ambientale, con l’obiettivo duplice di avvicinare il maggior numero di persone all’esperienza e all’amore per l’ambiente e contemporaneamente di contenere le emissioni di gas serra del settore turistico. I nostri viaggi avventura erano progettati in ogni dettaglio: cibo, trasporti, attività ed eventi, uno slow-travel inter-modale con in più la qualità di filiere a chilometro zero. I nostri pacchetti contenevano escursioni a cavallo, cene attorno al fuoco, tragitti in kayak, arrampicata sportiva a strapiombo sul mare, traversate in treno di tutta l’Europa e avvincenti passaggi a vela nel mar del Nord, lungo il canale della Manica o nell’arcipelago delle isole toscane. Il tutto era part-time e senza scopo di lucro.

I viaggi avventura ci hanno avvicinato alla gestione dei pernottamenti per i nostri ospiti talvolta in barca, o in rifugio, in tenda o in treno. Questo ci ha ispirato a creare a Londra una start-up dedicata a co-living e co-working, efficienza energetica e gestione di immobili. I servizi includevano ristrutturazione, efficientamento energetico, conduzione e gestione di immobili e di una crescente comunità di ospiti, coinquilini ed amici.

Nella grande pausa di riflessione che è seguita alla pandemia abbiamo preso la decisione di spostarci in Italia. Abbiamo scelto Cervarezza come avrebbe fatto un esploratore un secolo fa: consultando la mappa e valutando la logistica dei luoghi. La famiglia ci lega all’alta Toscana mentre il lavoro a Reggio Emilia. L’Appennino Tosco Emiliano ci è sembrato un felice compromesso. Da una parte la prossimità della Strada Statale 63 come legame tra Toscana e Liguria e dall’altra la vicinanza di Castelnovo ne Monti come centro di servizi didattici e sanitari hanno costituito le ragioni fondamentali della nostra scelta.

Cosa avete trovato? L’atteso e l’inatteso

Abbiamo trovato una comunità, una rete sociale ed un presidio culturale.

Immaginando questo territorio da Londra potevamo attenderne la bellezza del paesaggio e la prossimità della natura. Non potevamo invece prevederne la qualità e la densità del tessuto sociale e culturale. Volevamo inizialmente creare un piccolo nucleo di abitazioni indipendenti dalle reti, isolate, altamente tecnologiche e immerse nel bosco. Dopo le nevicate abbondanti dell’inverno 2020 – 2021 ci siamo resi conto che la visione progettuale iniziale comportava dei rischi incompatibili con la fragilità logistica – e forse psicologica – di due genitori alle prime armi. Già poche settimane dopo il nostro arrivo avevamo colto appieno l’importanza vitale di servizi di vicinato come la farmacia, il negozio di generi alimentari, il negozio di ortofrutta e la pizzeria.

Ci aspettavamo di incontrare una comunità ma non ci aspettavamo di stringere rapporti umani tanto significativi in così poco tempo.

Ci aspettavamo una grande bellezza paesaggistica ma non ci aspettavamo la consonanza più profonda che la valle, gli alberi, il fiume e la luce dell’alba producono ogni mattina con le corde più profonde dell’animo.

Ci aspettavamo una generica differenza culturale tra la vita a Londra e quella a Cervarezza ma non potevamo immaginarne esattamente i tratti. Pensavamo, ad esempio, che le differenze di abitudini fossero più profonde di quanto non siano. Londra è contemporaneamente una grande metropoli ed un arcipelago di piccoli villaggi. Ogni villaggio ha una sua dinamica locale non dissimile a quella di un paese. Neppure su morale ed etica abbiamo riscontrato grandi differenze. Temevamo maggiore chiusura verso la diversità, politica, culturale o sessuale e i nostri timori si sono rivelati tutti infondati, complici forse, fortunatamente, le buone pratiche di integrazione culturale nei territori montani e la loro fragilità demografica che porta tutti, chi c’é, chi arriva e chi rimane, a volersi un po’ più bene.

Ci sembra piuttosto che la risposta a fenomeni storicamente recenti – come immigrazione extra comunitaria o diversità di genere – dia spazio al diffondersi di reazioni culturali a loro volta aggiornate. Laddove invece le questioni in oggetto attivano categorie più antiche della cultura locale – come il rapporto con l’ambiente, il cibo o l’identità locale – allora le reazioni sembrano essere più radicate, polarizzate e meno interessate al cambiamento. Ad esempio: di inverno ci si scalda con la legna, carne e vino fanno bene, la pietra di Bismantova non c’entra niente col paesaggio del Ventasso tanto che il Cimone quasi non esiste (il Cusna invece sembra rappresentare un porto franco nella perigliosa navigazione verso un patrimonio paesaggistico comune).

Quale sogno e/o progetto di comunità desiderate e vi siete messi a costruire?

Il nostro sogno è senz’altro ambizioso e non ne celiamo la vena utopica: vogliamo contribuire a fare ri-innamorare l’umanità del pianeta. Crediamo che le dimensioni affettiva, spirituale e relazionale siano cruciali nell’evoluzione culturale verso un paradigma di rigenerazione dei sistemi antropici. Per noi il pianeta – in un’accezione semi-deistica di super bio-organismo – è un soggetto con cui siamo in relazione dalla nascita.

Da questa visione poetica e filosofica della nostra missione arriviamo però molto rapidamente ad una serie di pratiche concrete. Come professionisti del settore delle costruzioni siamo portati a scomporre il progetto, qualsiasi progetto, in componenti sempre più discrete e misurabili in modo da poterne migliorare l’efficienza aggiornandone l’ingegneria. Nell’epoca del surriscaldamento globale tutti gli aspetti della relazione umanità/ambiente devono essere oggetto del progetto: dalla cultura alle scienze, dal turismo allo sport, dalla tecnologia all’arte. Il nostro progetto trova il suo fulcro in un centro per l’economia circolare a chilometro zero che sappia accogliere, sotto lo stesso tetto, turismo, sport, ospitalità, educazione, ricerca, produzione e creatività. Stiamo trasformando un immobile esistente, l’ex ostello La Panoramica a Cervarezza, in una sorta di agriturismo del futuro, un luogo pensato come un co-living co-working londinese ma calato nella ricchezza culturale e ambientale dell’Appennino Tosco-Emiliano. Questo edificio/sistema dovrà non solo soddisfare autonomamente il suo fabbisogno energetico ma anche generare fino al 70% del fabbisogno calorico dei suoi ospiti oltre che permettere il riciclo in situ di materie plastiche per la creazione di nuovi oggetti di design, strumenti e componenti edilizi. Lo abbiamo chiamato Girotondo. La parola ci riporta sia ad una dimensione ludica del giocare insieme in cerchio sia al monito di ritrovarci “tutti giù per terra” in un momento di destabilizzazione globale quando appunto “casca il mondo e casca la terra”. Il progetto Girotondo è stato presentato per il finanziamento europeo LIFE 2023 in partnership con il Parco dell’Appennino Tosco Emiliano, Politecnico di Milano, IUAV Università di Venezia, Confcooperative Terre d’Emilia e altri soci minor tra cui una curatrice d’arte contemporanea, un poeta, un musicista e due giornalisti. Legata al Girotondo immaginiamo una comunità composta di comunità che possano ritrovarsi per condividere le sfide, le criticità e i successi nel cammino verso un paradigma futuro – ancora da definire – di sostenibilità e rigenerazione.

Con riguardo specifico alla vostra esperienza territoriale a Cervarezza, cosa lo facilita e cosa lo rende difficile o lo ostacola?

La rete digitale è fondamentale. Senza rete digitale non potremmo lavorare in remoto. Dobbiamo lavorare perché Girotondo non produrrà ricavi significativi fino al 2024. Se non avessimo potuto lavorare in remoto saremmo rimasti legati a Reggio Emilia e non ci saremmo mai trasferiti a Cervarezza. Il segnale internet è però ancora debole, fragile e spesso interrotto. Se dovessimo e potessimo aprire domani con il nostro agriturismo del futuro ospitando nomadi digitali felici di coniugare lavoro e turismo nell’Appennino Tosco-Emiliano semplicemente non potremmo. Questo perché ad oggi non potremmo assicurare una banda digitale sufficientemente robusta. Quindi l’intero progetto dipende dalla tempestività della copertura della fibra ottica. Su questo speriamo fortemente di non essere in anticipo sui tempi!

Ma oltre alla rete digitale è per noi di fondamentale importanza la rete umana e professionale. Senza il Parco Nazionale il progetto Girotondo non sarebbe mai stato presentato per il bando LIFE in tempi record. Senza Confcooperative non saremmo riusciti a sviluppare una rete di rapporti di qualità con realtà di innovazione economica e sociale già attive nel territorio. Senza le esperienze di innovazione della SNAI, della Montagna del Latte e della Montagna dei Saperi il progetto Girotondo non avrebbe punti di riferimento. I rapporti umani sono cruciali non solo a livello professionale ed istituzionale ma anche a livello umano. Il Paese è vivo e dà vita. Il semplice scambio umano al bar del paese radica nel reale la nostra missione per certi aspetti visionaria. Ci siamo sentiti accolti e benvenuti a Cervarezza.

Siamo abbastanza certi che ben pochi in paese abbiano compreso cosa abbiamo in mente – anche perché non è facile da spiegare! – ma questo non ha generato barriere o distanze. Nei nostri confronti avvertiamo simpatia, incredulità e, sotto sotto, un po’ di gratitudine.

Non crediamo che la proverbiale diffidenza dei montanari, che comunque esiste, sia per noi un ostacolo. Lo sarebbe se il nostro progetto dipendesse interamente dalla capacità di innovazione locale. Ma da questa ne dipende solo in parte. D’altra parte dipende dalla rete di contatti internazionali tessuta negli anni, dal rapporto con l’università e dalle politiche di sostegno economico tanto alle nuove imprese quanto all’efficientamento energetico e all’innovazione 4.0.  In questo scenario complesso di opportunità e rischi il progetto Girotondo è principalmente condizionato dal tempo che giorno dopo giorno riusciamo a dedicarci. Con due bambini molto piccoli, il sostegno alle famiglie dei servizi comunali per noi è vitale. Il micronido di Busana è ottimo e se l’età minima ammissibile per i bimbi passasse da 12 mesi a 6 mesi (così come accade a Parigi o Londra) sarebbe ancora meglio per giovani famiglie con la nostra.

Quale ruolo assegnate alla cultura e alle istituzioni culturali?

La cultura è tutto. Eludere la dimensione culturale dell’innovazione sociale equivale a pregiudicare l’efficacia delle politiche e dei progetti. È il medium invisibile attraverso il quale gli esseri umani interagiscono con il mondo. Per tanto la cultura influenza tutto, dall’economia alla politica alla scienza. Più nello specifico, crediamo che la risposta al surriscaldamento climatico parta dall’evoluzione del paradigma culturale corrente che è fondamentalmente tossico, autolesionista, suicida.

Un rischio concreto che accomuna l’Appennino reggiano a Londra o Parigi è che le istituzioni culturali non abbiano coscienza dell’importanza e della responsabilità del proprio operato. Laddove le istituzioni culturali per prime vengono meno alla definizione degli obiettivi di innovazione culturale per il territorio, la possibilità di rinnovamento e rigenerazione è a rischio. Crediamo fermamente che la cultura locale delle terre alte non sia una zavorra del passato ma un’opportunità per un futuro diverso e migliore. Crediamo che il debito di modernità che le aree interne hanno nei confronti dei centri urbani e metropolitani non sia manifestazione di arretratezza e mancato sviluppo bensì un vantaggio culturale per emanciparsi dalla parte tossica della modernità e rilanciarsi partendo dalla parte fertile e feconda della cultura tradizionale locale. Portando quindi avanti solo i valori positivi e sostenibili dell’oltre-modernità globale e fondendoli con la ricchezza della tradizione locale crediamo possibile contribuire ad una narrativa nuova, ad obiettivi nuovi e a politiche di sviluppo a prova di futuro.

ABSTRACT

Antonio and Jules, Daria and Francesco are involved in building a community sense of “self”, so they chose to live in the Appenino mountainside. Local influences for global desires. Their stories develop through biography, career, and territorial heritage. Here starts “a process of breed and differentiation to regenerate the mature cells, now close to the end of their life cycle”. We can learn so much from these stories, all belonging to Appennino Tosco-Emiliano, about the setting of communities in inner and rural areas.

 

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Giovanni Teneggi

Giovanni Teneggi cura lo sviluppo di cooperative di comunità per Confcooperative. Dal 2005 la sua attività di ricerca, narrativa e consulenziale è dedicata alla costruzione sociale ed economica della comunità. Ha avuto ruoli manageriali in enti sindacali, del terzo settore e organismi pubblici. Ha partecipato a pubblicazioni collettive su questi temi edite da Donzelli, Il Mulino, FrancoAngeli, LetteraVentidue e FBKPress. Abita e vive con la sua famiglia l’Appennino Tosco Emiliano dove è nato.

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