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LETTURE LENTE - rubrica mensile di approfondimento
Intervista a Marco Martinelli: a Pompei nasce una comunità di cura condivisa del patrimonio culturale
foto da www.pompei.org
[Coltivare Comunità]

Di Giancarlo Sciascia

© http://pompeiisites.org/comunicati/pompei-al-via-il-progetto-di-teatro-per-i-ragazzi-del-territorio-unesco/#&gid=1&pid=5 (pompeiisites.org)

Il drammaturgo e regista teatrale Marco Martinelli, co-fondatore del Teatro delle Albe a Ravenna, da quasi 40 anni scrive testi ispirandosi agli antichi e, al tempo stesso, scandagliando il presente, pensando le storie per gli attori, di ogni età e provenienza, i quali diventano così veri e propri co-autori degli spettacoli. Nell’anno scolastico 2021-22 questo modus operandi è approdato a Pompei per desiderio di Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico, che, estasiato dal film The sky over Kibera, ha immaginato che un’attività laboratoriale simile potesse rompere il muro invisibile tra il sito archeologico e il territorio, che non lo conosce.

Ne è nato un percorso incentrato sulla rielaborazione di Aristofane, a partire da Gli Uccelli. Il testo, attualissimo nonostante i suoi oltre 24 secoli, è diventato così lo specchio e il banco di prova per 60 adolescenti provenienti dall’IISSS Eugenio Pantaleo di Torre del Greco e dal Liceo coreutico Ernesto Pascal di Pompei, a cui si sono poi uniti un piccolo gruppo di ragazzi di Arrevuoto, il laboratorio permanente attivo a Scampia dal 2005, e alcuni bambini della scuola “Dalla Parte dei Bambini”, sempre a Napoli, nel cuore dei Quartieri Spagnoli. Questo lavoro, che ha debuttato a fine maggio, inaugura per il Parco archeologico un cammino di 3 anni tutto all’insegna di Aristofane, con l’esplicito intento di costruire appartenenza e partecipazione culturale nella comunità locale.

Che teatro è il tuo/vostro?

Il nostro è un teatro che cerca bellezza, armonia, che vuole estrarla dal caos, come una pepita d’oro dal fango: nasce dal desiderio di una relazione profonda con la turbolenza incarnata dagli adolescenti e dalle loro storie.

Come si costruisce questo teatro?

Al centro del metodo della non-scuola c’è l’attenzione e l’ascolto di “tutti” i partecipanti, la consapevolezza che l’adolescente è re. Che l’amore per il teatro produce alchimia e “messa in vita”.

Perché proprio Aristofane?

Per la sua capacità di legare drammi e ferite della società a slanci utopici, per l’energia da adolescente infuriato che rappresenta: Aristofane, se ben interpretato, permette di entrare in relazione con gli adolescenti di oggi, con la loro rabbia e il loro desiderio, a volte nascosto, di essere ascoltati. I classici non sono polvere da museo, sono cenere da cui riattivare il fuoco.

Con quale criterio è costruita la vostra non-scuola?

La nostra non-scuola non è la negazione della scuola: quel “non” va inteso come “non è una scuola di teatro”. Ci interessa lavorare con tutti. Tutti, come diceva Aldo Capitini, è una parola sacra, è l’Everyman di Ezra Pound. Ognuno di noi è un tesoro. Il primo criterio è: mai con le classi tutte intere. Si lavora solo con chi davvero “vuole”. Puntiamo a infuocare il desiderio di ogni ragazzo/a di lavorare con noi. L’amore (ricambiato) per il teatro ti permette poi di chiedere tutto, la disciplina è una naturale conseguenza del piacere. Un altro aspetto fondamentale, oltre alla motivazione intrinseca, è la contaminazione, mischiare cioè ragazzi e bambini provenienti da contesti abitativi di diversa densità e tipologia. È una scommessa vinta, che dimostra come la diversità sia ricchezza: ad esempio i miei assistenti Gianni Vastarella e Valeria Pollice, ora trentenni, si sono conosciuti così in una delle prime edizioni di Arrevuoto, lui di Scampia e lei di Piazza del Gesù, due realtà molto distanti, e ne è nato un sodalizio d’arte e di affetti.

Come stabilisci in partenza il “patto partecipativo” con gli adolescenti?

Cominciamo a parlarci, a cantare, saltare insieme dentro un rapporto fra me – guida – e te – adolescente. Si crea un patto d’amore, e l’amore, come ci insegnano Dante e Florenskij, va coltivato quotidianamente. Se manca, la porta è aperta, non c’è nessuna costrizione. Quelli che restano sono motivati, hanno deciso di metterci l’anima perché si trovano davanti un adulto che li prende sul serio. Solamente così quel che creiamo è qualcosa di nostro, un viaggio, un’avventura da costruire insieme. Non si parte dal testo se non come suggestione. In questo caso la Atene di 2500 anni fa, fra rabbia e delusione. Per i primi due mesi non c’è Aristofane ma ci sono le vite dei ragazzi, con racconti, creazioni e improvvisazioni teatrali. Ci siamo chiesti: come si vive a Scafati? A Torre del Greco? A Pompei? La “messa in vita” precede la messa in scena, la alimenta dall’interno.

Le famiglie sono solidali o si oppongono a questa esperienza? Vengono coinvolte in qualche modo?

Sono sempre molto vicine ai ragazzi perché li vedono trasformarsi. Perché si accendono per un canto, non per un iphone o una Playstation. Quando si lavora le protesi digitali sono bandite.

E i docenti che ruolo giocano?

Partecipano facoltativamente. A Torre del Greco, un contesto di disagio sociale, la prof. Pasqualina Pasqua, nomen omen, col suo sorriso, era lì a sostenerci ogni giorno: “Marco e Gianni e Valeria ci stanno dicendo delle cose importanti!”. Mentre nel ruolo di insegnanti è difficile che i ragazzi si confidino loro, quando i docenti si trasformano in “assistenti alle guide” dentro il laboratorio teatrale, allora i ragazzi si aprono, è una via laterale per conoscersi meglio reciprocamente.

Come si genera nei ragazzi interesse e fiducia? Dipende dal tema o dal metodo?

Quella della fiducia è una sfida che la guida deve affrontare ogni giorno: i ragazzi ci osservano con molta attenzione e pretendono giustamente che il nostro comportamento sia coerente. Prenderli sul serio non è una dichiarazione “una tantum” ma un “modus vivendi”. Per questo parlo di patto d’amore e reciprocità. Amore comune per il teatro e reciprocità: ogni relazione è una fiamma da alimentare tutti i giorni, se due persone si amano, si rinnova, l’abitudine non la incrina ma la ravviva.

A proposito di impatto sociale di questa esperienza, ci sono dati e/o informazioni disponibili sul “dopo” relativi ai ragazzi che in tutti questi anni hanno preso parte ai laboratori?

Nessuno ha mai fatto una ricerca del genere. Noi abbiamo continuato a seminare di anno in anno. A Ravenna, da tre decenni, circa 300 adolescenti ogni anno vanno in scena coi classici, in una città che conta 130 mila abitanti non è poco. Qualcuno fra loro “si ammala di teatro”, ce li siamo ritrovati in compagnia, scegliendoli in modo accurato e facendoli entrare a bottega. Altri hanno creato i loro gruppi. Il protagonismo di Ravenna sul piano culturale, non solo nel teatro, molto probabilmente si spiega anche attraverso la presenza di questa azione costante, un vivaio dove i nuovi talenti fioriscono. Sarebbe utile una indagine più accurata per approfondire.

Nel lungo corso di questa esperienza di successo, che ruolo hanno giocato le istituzioni? Ad esempio, possono supportare l’emersione e la crescita dei talenti che andate a scovare con tanta regolarità?

Nella mia esperienza la differenza non la fanno le istituzioni in quanto tali, ma solo le persone “coscienziose” che le fanno funzionare: qui sta la differenza. Come è stato il caso di Rachele Furfaro, a Napoli, che ha messo a disposizione finanziamenti regionali per borse di studio per i migliori talenti emersi dal vivaio di Arrevuoto. Più in generale, soffriamo il grande vuoto della politica: da quasi 40 anni viviamo una crisi epocale della politica, manca un pensiero capace di illuminare il “bene comune”, nozione che ci dovrebbe essere nota fin dalla sua prima teorizzazione, fatta da Tommaso d’Aquino nel XIII secolo, e che sembra ahinoi dimenticata.

Quale scuola per quale futuro?

Non sta a me dirlo. Sono solo un regista e un drammaturgo, da trent’anni innamorato dell’intreccio tra i classici e gli adolescenti. Quel che so, quel che l’esperienza mi ha insegnato, lavorando in tutta Italia e all’estero, da Stoccolma a Dakar, da New York a Nairobi, è che i nostri ragazzi non sono “sdraiati” e “grigi” come li dipingono i media, anzi, tutto il contrario.

SITOGRAFIA ESSENZIALE

Teatro delle Albe, Ravenna: https://www.teatrodellealbe.com/

Arrevuoto – teatro e Pedagogia, Scampia (Napoli): www.arrevuoto.org/

“The sky over Kibera”, di Marco Martinelli – TRAILER (sub ita): https://vimeo.com/386988272

“Prologo: Tentativi di volo / Aristofane a Pompei”: https://www.doppiozero.com/aristofane-pompei

“Sogno di volare. Se la scuola riparte dal teatro”: doppiozero.com/sogno-di-volare-se-la-scuola-riparte-dal-teatro

“Aristofane a Scampia”: ponteallegrazie.it/libro/aristofane-a-scampia-marco-martinelli-9788868335731.html

ABSTRACT

Thanks to a theatre workshop for teenagers in the greater Naples area, the archaeological park of Pompeii starts a new alliance with the territory and leads families to discover its treasures. An experience of personal and collective growth through the classics, in dialogue with the local reality and the present time. This is how Aristophanes’ Birds was born, under the guidance of Marco Martinelli, playwright and director who leads the activities of the theatre workshop for schools with a working method refined in almost 40 years of experience, based on reciprocity and desire. The rewriting starts from the life of the adolescents who through the theatre discover themselves and others.

 

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Giancarlo Sciascia

Giancarlo Sciascia

Imprenditore e manager culturale con background in Economia Politica. Dal 2007 ha collaborato con numerose istituzioni italiane (Festival, Musei, Enti di ricerca) e contribuito alla realizzazione di varie startup competition all’intersezione tra gli ambiti digitale, sociale e culturale (cheFare, Culturability, Internet Festival, Falling Walls). Dal 2016 è l'Audience Developer di Fondazione Bruno Kessler. Nel 2020 ha curato il libro “Fabbricare fiducia al tempo di Covid19 e oltre” per Rubbettino.

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