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LETTURE LENTE - rubrica mensile di approfondimento
Da tre anni esiste “MIND THE GAP, il festival del transfemminismo intersezionale”, perché un festival sui temi del transfemminismo è necessario ovunque per innescare un tempo della festa e del rito come strumento di reazione e disobbedienza civile, per porre in discussione degli schemi societari e subdolamente introiettati, per convertire l’esperienza in sapere, determinare una trasformazione reale, un nuovo equilibrio fuori dai trend della narrazione contemporanea e dal conformismo culturale
© Passare Attraverso, incontro con Cicconetti, Gelatti, Luxuria, Angeleri. Photo by Marzia Benigna

Transfemminismo è una parola che spaventa. E allora chiariamola sin dalle prime battute: il transfemminismo è il movimento che chiede la parità di diritti per tutte le persone in ogni ambito. Il transfemminismo intersezionale è quindi un movimento che prende coscienza di non rappresentare solo la lotta delle donne, ma che ha come senso profondo la decostruzione di ogni forma di discriminazione dovuta al genere, all’abilismo, al razzismo, all’ageismo, all’omolesbotransfobia, alla classe, alla religione.

Transfemminismo è una bella parola. È un orizzonte che dovrebbe guidare non solo il nostro pensare, ma il nostro agire. È uno sguardo sul mondo necessario e ormai dovuto.

La pandemia ha determinato in diversi ambiti un’oggettiva accelerazione di consapevolezza. Il tempo si è liberato forzatamente e le persone davanti agli schermi hanno cominciato a parlarsi non solo “per mestiere”, ma anche per attitudine, per la condivisione di interessi e temi, per la necessità di approfondire. Questo è successo anche a me. Ho cominciato a studiare. Ho cominciato a mettere a fuoco una stanchezza atavica e ho capito che era la stessa di moltissime donne con cui stavo interagendo, tanto da essere una storia comune, la storia di molte: una presa di coscienza che all’inizio arriva come ingiustizia non decodificabile, che poi esplode come rabbia e che per trasformarsi in una forza propulsiva ha bisogno di essere osservata, indagata, riconosciuta, nominata. Bisogna usare le parole giuste, perché le parole formano i pensieri e non è retorica. Bisogna dirlo che il patriarcato è abusante, violento, anacronistico, scorretto e, cosa peggiore, sa essere sottile, invisibile, travestito da altro. È nella nostra cultura, nella nostra identità secolare.

La vita di troppe persone e di troppe donne è spesso una scalata senza pendenza. Invisibile. Dolorosa. Faticosa. Perenne. E da qualche parte nel mondo è un vero e letterale inferno.

È per questo che da tre anni esiste MIND THE GAP, il festival del transfemminismo intersezionale, perché un festival sui temi del transfemminismo è necessario ovunque per innescare un tempo della festa e del rito come strumento di reazione e disobbedienza civile, per porre in discussione degli schemi societari e subdolamente introiettati, per convertire l’esperienza in sapere, determinare una trasformazione reale, un nuovo equilibrio fuori dai trend della narrazione contemporanea e dal conformismo culturale.

L’edizione di MIND THE GAP, che si è svolta dal 30 marzo al 2 aprile 2023 a Torino, è stata una quattro giorni intensiva per analizzare, discutere, guardare negli occhi quel gap che ancora oggi persiste nella società, dall’ambito economico affrontato con Azzurra Rinaldi, docente di Economia politica all’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza, al linguaggio dei Media nel convegno del Cirsde, il Centro Interdisciplinare di Ricerche e Studi delle Donne e di Genere fino alle performance di Stand Up Comedy di Chiara Becchimanzi e di Alithia Maltese – Insegnante di Kinbaku ed Educatrice di Sessualità Alternativa –  che hanno avuto l’intento comune di parlare con linguaggi diversi di stereotipi indistruttibili, di politicamente corretto, di paure del contagio e di contagio delle paure.

© Terapia Di Gruppo, Chiara Becchimanzi. Photo by Marzia Benigna

Mind The Gap ha affrontato a viso aperto i temi che riguardano nello specifico il corpo e l’autodeterminazione con l’intento di creare divulgazione su temi ormai imprescindibili come la procreazione medicalmente assistita, l’endometriosi, la violenza ostetrica (per cui nello specifico il festival ha dato spazio a #AncheAMe, movimento per una proposta di legge contro la violenza ostetrica formato da 14 donne tra attiviste, giornaliste, avvocate e professioniste della sanità che hanno deciso di unirsi in questa battaglia).

Con Giulia Crivellini (Libera di Abortire), Lia Quartapelle (Deputata della XIX Legislatura) e Irene Sanna (Psicologa di Progetto Nudə) si è rimesso al centro del dibattito l’aborto che nella narrazione contemporanea passa spesso come necessità di una parte di mondo e abominio per l’altra. Essere in una sala di attesa per un aborto – invece – fa capire tante cose: ci si ritrova fra donne di qualsiasi provenienza, religione, status sociale, condizione economica, condizione emotiva. Le sale d’attesa dimostrano – sempre – come la vita reale sia più complicata e complessa delle semplificazioni ideologiche e delle polarizzazioni.

Jin, Jîyan, Azadî! Donna, Vita, Libertà è quanto non poteva assolutamente mancare al programma del festival. Hamid Ziarati (Scrittore) e Deniz Ali Asghari Kivage (Avvocata) e Sara Moradi (Attivista) hanno raccontato cosa sta succedendo in Iran, lo stesso Stato che nel 1948 firmò La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e che oggi leva una voce potente di resistenza. Resistere allo strangolamento delle idee, alla mortificazione per legge di chi ha la colpa di nascere donna, all’annientamento costante di ogni diritto. Resistere esponendo i corpi, liberando i capelli al vento, cantando versi proibiti, amando. La rivoluzione iraniana travolge temi che riguardano il mondo intero: la parità di genere, la libertà di poter scegliere il proprio destino, il rispetto dei diritti civili, il fatale errore degli stati di polizia e la tracotanza del potere quando si fa ideologico, sordo rispetto alle istanze della cittadinanza e anti-storico. La rivoluzione iraniana con le sue centinaia di vittime innocenti ci obbliga a capire cosa intendeva l’attivista Lina Ben Mhenni, morta a 36 anni, quando diceva che colpire la libertà di una persona significa colpire l’umanità intera.

Tra gli eventi più densi del festival c’è stato l’incontro tra Francesco Cicconetti (Divulgatore per la comunità trans e autore di Scheletro Femmina, Mondadori 2022) e Vladimir Luxuria (Attivista e Direttrice Artistica Lovers Film Festival): un confronto fra vissuti, tra diverse storie di vita in contesti e anni diversi. Parlare di transizione con Vladimir Luxuria è parlare di Foggia e degli anni ‘80, della solitudine, dell’eroina, di botte, di aids, di prostituzione come unico spazio di esistenza lavorativa.

Francesco Cicconetti, riminese under 30, ha vissuto un contesto completamente diverso, eppure quante cose in comune! Passando attraverso i corpi si possono toccare i più profondi e feroci argomenti. Parlare di una transizione non è solo parlare di appropriazione di sé, degli sguardi delle altre persone, ma parlare anche di storia e di contemporaneo nella nostra società: del bullismo, di abbandoni, dei social, del problema contemporaneo con il femminile che oggi investe Vladimir e non Francesco e di una generazione Z che sta crescendo, per fortuna, con un nuovo sguardo.

© Passare Attraverso, incontro con Francesco Cicconetti e Vladimir Luxuria. Photo by Marzia Benigna

Come la logica transfemminista vuole si è parlato di futuro, di antispecismo e di ambiente con Spazio Hydro Biella, Fridays For Future e Extincion Rebellion e di agenda politica con i Tavoli Partecipati di Torino Città per le Donne su temi come Lavoro, Potere, Conoscenza, Innovazione e Salute nella consapevolezza dell’importanza di portare lo sguardo di genere nella politica, non solo per migliorarne la pratica, ma per aumentare la partecipazione attiva delle donne che ad oggi, va riconosciuto, è comunque ancora un dato incredibilmente sbilanciato.

Mind The Gap è un festival che cerca innanzitutto un determinato tono di voce. Io stessa che studio questi temi ormai con costanza, mi ritrovo a sorprendermi continuamente ad imparare e a cercare di orientarmi su questioni che il sistema comunicativo cerca, per intrinseca necessità di conservazione dello status quo, di polarizzare. Ed è proprio la polarizzazione che il festival cerca di evitare, perché la ragione degli argomenti non deve mai cadere nei tranelli della tifoseria. Attuare una logica transfemminista passa dunque dalla capacità di costruire contro-narrazione non giudicante, non arroccata nei termini difficili dell’élite, nella disponibilità di accompagnare il pubblico ad un percorso di conoscenza che, come tale, presuppone punti di partenza e consapevolezze diverse. Il tentativo è quello di combattere il sistema opprimente in cui viviamo senza fare il suo stesso gioco. Non più. In un mondo che tende a dividerci, a metterci in competizione, a far crescere solo chi è più forte, “comprendere” è una parola disarmante che crea legami fitti e quindi comunità: arrivare al festival e trovare persone con cui dialogare e con cui sentirsi al sicuro, sentirsi in una comunità, è uno degli obiettivi più belli che abbiamo raggiunto.

Un festival dunque come spazio di confronto per chi ha domande scomode, ma soprattutto per chi ha anche delle domande che possono sembrare ingenue, perché non tutti e tutte abbiamo il tempo e la costanza di studiare, di approfondire. A volte manca l’occasione, l’incontro giusto. E questo non deve rendere giudicante chi sa (come pur accade anche nel femminismo), ma ancora più accogliente. Anche per queste capacità di scegliere il tono di voce, l’edizione del 2023 è stata partecipata da moltissimi uomini. Con mia somma sorpresa, l’incontro sulla violenza ostetrica, per fare un esempio, ha visto una sala preziosamente mista. Da Mind The Gap 2023 sono passate più di 1500 persone, un pubblico di età compresa fra i 18 e i 50 anni con una forte presenza di donne under 25 e della comunità LGBTQI+. Persone completamente diverse, per genere, età, provenienza, orientamento sessuale. Evidentemente però tutte con un grado di cultura elevato, e questo è un dato preoccupante: il tema è percepito come distante e a volte addirittura irritante da chi non ha strumenti di decodifica. È oggettivo che il trasfemminismo non sia entrato in una narrazione davvero pervasiva (e di questo bisogna prenderne atto), tanto quanto è oggettivo che purtroppo una determinata politica ne stia facendo una questione ideologica mirando alle sensazioni di pancia o al benaltrismo con la stucchevole scusa degli ormai noti “problemi più gravi”: ci sarà sempre qualcosa di più spaventoso e anche di più urgente, ma ci sono argomenti che non possono più attendere in temi di diritti.

© Presentazione di FEMMINUCCE: pubblico in sala. Photo by Marzia Benigna

Risulta fondamentale rendere accessibili i temi, tradurre i concetti difficili, non guardare dall’alto verso il basso chi sbaglia le parole o chi ignora, uscire dai salotti materiali e digitali.

Anche per questo, per non far passare come elitari concetti che sono solo umani, il festival ha coinvolto tantissime realtà che parlano davvero con il territorio e operano sul campo: dagli spazi culturali della città di Torino –  come OFF TOPIC, il Circolo dei Lettori, Il Magazzino sul Po, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo – al mondo dell’associazionismo – Iraniani di Torino, Torino Città Per Le Donne, Libera di abortire, Progetto Nudə, Donne per Strada, Break the silence, il Festival del Ciclo Mestruale, Piùdi194Voci, CollettivA Menapace – fino al  il Cirsde (Centro Interdisciplinare di Ricerche e Studi delle Donne e di Genere) e ad Immaginaria Festival.

La grande domanda è: a cosa serve un festival su questi temi? A colmare in ogni senso il “gap”, il vuoto dei diritti, ma anche la distanza dal paese reale perché non c’è trasformazione sincera se non si coinvolge davvero la popolazione intera sulla necessità del cambiamento. Un festival interdisciplinare può essere uno strumento pop di avvicinamento, può – tramite i suoi eventi – cominciare a gettare semi usando linguaggi diversi perché laddove non risulta efficace un dibattito o la presentazione di un libro, magari riesce la musica e viceversa. Mind The Gap è di fatto la costituzione di un noi plurale, un’esca, un modo per fare inciampare il pubblico in un evento complesso, dove si sceglie anche solo di partecipare ad un contenuto e poi ci si ritrova immersə in una realtà. In questa logica, nei dovuti tempi che consentono la consapevolezza davvero popolare, è un gigantesco dispositivo di cambiamento se resta fedele ai suoi principi: la sfida è ovviamente creare sempre più eventi di inciampo non per ingannare il pubblico, quello sarebbe il tradimento di un patto culturale, ma per avvicinarlo e per continuare ad allargarlo.

Così si cambia il mondo, secondo noi, un giorno e un racconto alla volta. Nel nostro piccolo ci stiamo riuscendo ed è il pubblico del festival a dirlo non solo con la partecipazione che continua a crescere ad ogni edizione, ma con sincere testimonianze – dal vivo e sul web – di reale cambiamento di consapevolezza e innesco del dibattito. Non ci deve essere una comunità transfemminista, ma una società transfemminista: è questo lo scopo! Per realizzarlo non possiamo spingere le persone, ma solo accompagnarle. L’unico modo possibile per avvicinare chi è ancora distante o diffidente è resistere. Resistere significa fermare respingendo, come fa l’acqua con il fuoco. Siamo arrabbiate, tantissimo. E ne abbiamo tutte le ragioni. Ma è arrivato il momento di essere strategiche, di combattere con lucidità, di alzare la voce con tattica e anche di saper bisbigliare, di andare ovunque con questo approccio, dai mercati alle sale del potere.

© Presentazione di “Femminucce”: Federica Fabrizio e Simonetta Sciandivasci. Photo by Marzia Benigna

Moltissimi sono stati gli eventi e i volti. Tra tutti gli sguardi conservo quello delle persone più giovani. Sono cosciente che non vedrò davvero gli effetti di una reale parità di genere. Appartengo a quella generazione nata negli anni 80 rimasta un po’ schiacciata da tutto, dalla crisi della Politica alle infinite recessioni, dall’innovazione tecnologica e dalle incertezze sul futuro. Probabilmente non godrò mai nella mia carriera della totale sensazione di avercela fatta perché in fondo non ce la fai davvero se tutto quello che hai costruito ti è costato mille volte la fatica che è costata a uomo. Mi piace pensare, però, che anche solo uno di quegli sguardi che ho incrociato a Mind The Gap un giorno ritornerà a tutte le cose ascoltate e capite in questo festival ascrivendole ad un tempo finalmente passato, che ha il sapore della preistoria e per cui non si nutre la minima nostalgia.

Mind The Gap è un festival e in quanto tale è replicabile. L’augurio tuttavia non è che Mind the Gap arrivi dappertutto, ma che possa essere una delle tante esperienze festivaliere di riferimento affinché in ogni territorio si possa costruire un dispositivo popolare per parlare dei temi transfemministi, temi oggi imprescindibili per costruire un mondo più equo e una reale democrazia. Sarà un cambiamento lento, ma sarà inesorabile: il mondo è decisamente più bello da questa parte, diamogli il tempo di comprenderlo e resistiamo con la forza dell’acqua che si oppone al fuoco, con la ragione della ragione.

ABSTRACT

Mind The Gap is Turin’s widespread intersectional transfeminism festival that crosses the different languages of art and culture to create dissemination and knowledge about rights that can no longer wait with the hope that in each territory a truly popular system can be built to talk about the issues that are indispensable for building a more equitable world and real democracy.

 

 

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Annarita Masullo

Annarita Masullo

Annarita Masullo. Nata a Salerno nel 1983, laureata con 110 e lode presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica di Milano, è stata dal 2007 ad oggi manager musicale presso diverse realtà. Nel 2014 è co-founder, con Daniele Citriniti, di The Goodness Factory realtà che si occupa di management (Andrea Laszlo De Simone, Eugenio in Via Di Gioia), di progettazione culturale con particolare riferimento a temi della formazione, sostenibilità e dell’inclusione sociale, di ideazione di festival come _resetfestival e MIND THE GAP e di produzione di eventi. Nel 2018 è tra ə co-fondatorə di OFF TOPIC, l’hub culturale della città di Torino creato dal Torino Youth Centre grazie al lavoro di rete tra The Goodness Factory, Cubo Teatro e Klug. Dal 2020 è portavoce de La Musica Che Gira, coordinamento di addetti e addette ai lavori nato durante la pandemia che ha collaborato con il Governo per gli aiuti al settore della cultura, alla scrittura della legge sull’indennità di discontinuità per i lavoratori e le lavoratrici del mondo dello spettacolo e per la proposta di legge sulla riforma per gli spazi culturali. Dal 2022 LMCG si è costituita come Associazione e Annarita Masullo ne è la presidente. È stata docente di Artist Management all'interno del corso di Music Business di SAE Milano e dal 2020 è docente di Progettazione strategica musicale per la sezione Canzone di Officina Pasolini, laboratorio di alta formazione artistica del teatro, della canzone e del multimediale della Regione Lazio. Dal 2021 è nel Consiglio Direttivo di Torino Città Per Le Donne.

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