
LE DIFFERENZE DI GENERE NELLE SCIENZE SOCIALI
Le scienze sociali si sono occupate molto delle differenze di genere che si osservano nell’accesso e nell’uso delle risorse (dalla salute fisica e mentale all’istruzione, dall’accesso a risorse materiali e immateriali, al lavoro retribuito e quello di cura, all’uso del tempo), ascrivendole a fattori sia biologici che sociali che, mano a mano che gli studi sulla genetica hanno prodotto la consapevolezza della impossibilità di utilizzare distinzioni così nette si sono via via raccolti in fattori individuali (come le caratteristiche e preferenze) e fattori struttural-ambientali (come le norme sociali).
Gli studi sperimentali sulle differenze di genere negli ultimi 20 anni sono stati condotti perlopiù con studenti universitari (Eckel e Grossman, 1998 e 2008; Gneezy et al., 2003; Niederle e Vesterlund, 2007 e 2011; Croson e Gneezy, 2008; Apicella et al., 2015) e sono stati collegati ai divari di genere nell’istruzione (Buser et al., 2017 sulle scelte educative in Svizzera; Buser et al., 2014 su studenti delle elementari che scelgono la matematica nei Paesi Bassi; Niederle, 2010; Almas et al., 2016 sulla scelta del college in Norvegia), alle scelte professionali (Bertrand et al., 2010; Goldin, 2014; Bandiera et al., 2016), ai gap di retribuzione e nella carriera (Babcock et al., 2017a e b; Reuben et al., 2015 NV nel 2006 sugli studenti MBA e gap salariali).
Le differenze trovate nell’avversione al rischio e nell’altruismo si sono però rivelate poco robuste (meta review di Nelson, 2018), non si sono trovate risposte diverse per genere agli incentivi finanziari sul lavoro (Bandiera et al. 2017) e nemmeno nelle prestazioni quando si compete contro se stessi (Apicella et al, 2017). Bertrand (2011) e Azmat e Petrongolo (2014) hanno inoltre mostrato poche prove sull’impatto di queste differenze sui risultati del mercato del lavoro e studi sperimentali condotti in laboratorio – prove di studi di casi condotti con donne e uomini professionisti spesso trovano differenze molto più piccole (Bohnet, 2016). Ciò che si è trovato in modo robusto sono una preferenza delle donne per schemi di remunerazione non competitivi e che tendono a rispondere maggiormente degli uomini ai segnali sociali (Eckel e Grossman 1998, Engel 2011; Zetland e Della Giusta, 2013; Eckel e Fullbrunn, 2015). Inoltre Babcock et al. (AER 2017) hanno mostrato che alle donne viene offerto di più e accettano più compiti associati a bassa promozione (i cosiddetti non promotable tasks). In ogni caso, Francine Blau e Lawrence Kahn (2017) hanno osservato empiricamente che sia le differenze di abilità che quelle di preferenze possono in genere spiegare solo una modesta parte del divario retributivo di genere.
L’evidenza suggerisce che le norme e la cultura sociali, che a loro volta influenzano le preferenze, i comportamenti e gli incentivi per promuovere competenze specifiche, sono fattori chiave per comprendere le differenze di genere nella partecipazione alla forza lavoro e nei salari. E le norme di genere hanno un ruolo importante anche nel determinare gli impatti diseguali della genitorialità su uomini e donne che sono tipicamente molto più elevate nei paesi con una divisione del lavoro di cura tradizionale come nel caso dell’Italia, dove il divario di tempo dedicato alla cura è il più elevato in Europa (Bertrand et al., 2010; Goldin 2014; Angelov et al., 2016; Kleven et al. 2016; Casarico et al., 2022).
La scienza comportamentale è estremamente importante per comprendere il genere e la diversità. Mentre molte ricerche e politiche sono state dirette a eliminare la discriminazione palese e sistemica attraverso interventi normativi di vario tipo e promuovere l’istruzione e la raccolta di informazioni (come le raccolte di dati sensibili al genere promosse dai processi di bilancio di genere, come quelli sostenuti dall’OCSE e dall’EIGE), la ricerca comportamentale ha dimostrato che una delle ragioni per cui la discriminazione non è facilmente correggibile, nonostante tutti gli sforzi diretti a questo, è legata al pregiudizio implicito.
Il modello proposto dall’economia comportamentale contrasta nettamente con il modello di azione razionale alla base della maggior parte degli interventi politici (in cui ci si aspetta che i cittadini conoscano le loro preferenze e vincoli e rispondano in modi prevedibili agli incentivi) e si basa invece su bias cognitivi, cioè deviazioni sistematiche dalla razionalità che si basano su quello che è stato reso popolare come il modello decisionale “pensare veloce e lento” (Kahnemann, 2011). La modalità veloce funziona inconsciamente e, per associazione, per generare previsioni che consentono di prendere decisioni rapidamente sulla base di regole empiriche (euristiche): scorciatoie che incorporano una serie di aspettative su come qualcun altro si comporterà e su come dovremmo comportarci incorporando regole sociali di ciò che ci si aspetta da qualcuno come noi. La modalità lenta si riferisce al pensiero deliberato e lavora attraverso i problemi in modo più sistematico, confrontando e contrastando le idee e quindi esercitando più sforzo (ed essendo cognitivamente più esigente) per arrivare a decisioni più affidabili. Dato il vasto numero di decisioni che prendiamo nella vita di tutti i giorni, molte delle nostre interazioni sono guidate dal pensiero veloce piuttosto che lento e incorporano i pregiudizi che genera. I bias cognitivi noti includono l’avversione alla perdita (la tendenza a pesare le perdite più dei guadagni), l’ancoraggio (la tendenza a fare uso di informazioni irrilevanti presentate in modo saliente nel contesto di una scelta), il pregiudizio presente (la tendenza a sopravvalutare i guadagni presenti rispetto a quelli futuri), il bias di richiamo (ricordare strategicamente solo le informazioni che supportano la nostra visione attuale), e l’uso di valori predefiniti. Lo stereotipo, il processo di attribuzione di caratteristiche di gruppo medio reali o immaginarie a un individuo in assenza di informazioni specifiche, è stato dimostrato dalla ricerca comportamentale come pervasivo (Schneider, 2004; Jussim et al., 2015). Inoltre, gli stereotipi relativi alle caratteristiche personali che sono importanti per l’identità (come l’etnia e il genere in genere) non sono facilmente corretti.
Le scienze comportamentali hanno permesso di comprendere sia l’origine che la persistenza degli stereotipi ed il genere è una dimensione importante lungo la quale si formano gli stereotipi (e interagisce ovviamente con altre dimensioni come l’etnia, l’età e la classe sociale, in modo intersezionale). Gli stereotipi di genere includono sia stereotipi descrittivi, credenze su ciò che uomini e donne tipicamente fanno – derivano dal contatto reciproco (Fiske e Stevens, 1993), sia quelli prescrittivi, credenze su ciò che uomini e donne dovrebbero fare (Cialdini e Trost, 1998) che includono proscrizioni positive e negative (Koenig, 2018; Prentice e Carranza, 2002). Gli stereotipi di genere emergono nella prima infanzia (Bian et al., 2017) e hanno importanti conseguenze: più insegnanti egualitari di genere aumentano le prestazioni e l’adozione di STEM da parte delle ragazze (Alan et al., 2018; Carlana, 2019), più genitori di genere uguale hanno figlie che vanno meglio in matematica (Cornwell e Mustard, 2013; González de San Román e De La Rica, 2012; Friggitrice e Levitt, 2010; Krings et al., 2014; Eccles et al., 1990). Sono emerse anche evidenze scientifiche che indicano come l’esposizione a pregiudizi verso il proprio gruppo influenzi lo sforzo, la fiducia in se stessi e la produttività (Bordalo et al., 2016; Glover et al., 2017; Carlana, 2018). Recenti contributi nella letteratura sullo sviluppo recensita in La Ferrara (2019) collegano esplicitamente pregiudizi e stereotipi al processo di formazione delle aspirazioni e alle aspirazioni come fattori chiave che contribuiscono alle trappole della povertà. Criado Perez (2019) ha documentato nel suo libro Invisible Women l’ampia gamma di effetti significativi e persistenti nel mondo della tecnologia, della medicina e della politica derivanti da un pregiudizio progettuale che considera gli uomini come la norma e le donne come una deviazione da esso.
La scienza comportamentale ha anche mostrato strade promettenti per utilizzare i pregiudizi cognitivi per scopi politici positivi. Fare uso di pregiudizi cognitivi per progettare l’ambiente di scelta, in modo che le scelte possano essere manipolate in modo benigno, è stato etichettato come “nudge” e un certo numero di organizzazioni del settore pubblico e privato hanno perseguito questi metodi. Ciò ha generato un ampio corpus di prove sull’efficacia dei nudge in diversi domini tra cui trasporti, cibo, risparmio (Thaler and Sunstein 2008; Halpern, 2015; Benartzi et al. 2017). È importante però comprendere che esistono forti resistenze ai cambiamenti di prospettiva sulle questioni di genere proprio per i motivi legati alla difesa del senso della propria identità spiegati in precedenza.
La prova di quanto siamo disposti a spingerci per proteggere i nostri pregiudizi è fornita nel recente articolo di Bohren et al. (2019) che hanno condotto un esperimento volto a identificare cause separate di discriminazione osservando la discriminazione che si sviluppa in un contesto dinamico (un grande forum di domande e risposte online utilizzato da studenti e ricercatori in STEM). Hanno formalmente testato tre ipotesi sulle fonti della discriminazione: basate sulle preferenze (alla Becker), basate sulle credenze corrette (alla Arrow-Phelps) e basate sulle credenze con credenze errate (alla Coffman). Ritengono che la diminuzione della soggettività nel giudizio (attraverso la fornitura di maggiori informazioni sulla qualità delle risposte fornite dai profili femminili e maschili) attenua la discriminazione basata sulle credenze ma non influisce sulla discriminazione basata sulle preferenze e che persiste anche quando la qualità è perfettamente osservabile. In particolare, quando la discriminazione è basata sulle credenze (convinzioni sulla capacità media di un gruppo), l’osservanza della valutazione preventiva ridurrà la discriminazione. Al contrario, se la discriminazione è basata sulle preferenze, anche se ricevono una valutazione simile a quella degli uomini, le donne continueranno ad affrontare la discriminazione perché i valutatori crederanno che siano state aiutate e che le valutazioni non riflettano la loro vera qualità (in altre parole pensano che il processo sia truccato).
La ricerca mostra sia teoricamente che empiricamente che le inversioni delle convinzioni possono verificarsi quando la discriminazione è basata su credenze distorte (stereotipi) che fornisce un’importante spiegazione per i risultati osservati in STEM, dove le accademiche affermate sono favorite rispetto ai maschi (Williams e Ceci, 2015) e la discriminazione si trova invece tra le studentesse (Reuben et al., 2014), e nei mercati del lavoro in cui la discriminazione si verifica all’assunzione ma si inverte alla promozione (Booth 2009, Groot e Van den Brink, 1996; Lewis, 1986), un risultato corroborato dalla letteratura sulla leadership che trova un premio di genere in cima alle organizzazioni e la discriminazione in basso. Il documento fornisce anche prove che corroborano sia Becker che la letteratura psicologica contemporanea: quando le persone sono fortemente prevenute, preferiscono credere che il sistema sia truccato piuttosto che cambiare le loro convinzioni.
Per quanto riguarda i comportamenti anti-sterotipati è importante rilevare che la letteratura psicologica tende a trovare che generalmente la punizione sociale è più forte per gli uomini e per i ragazzi che trasgrediscono le norme (Brown and Stone, 2016; Sullivan et al., 2018).
RUOLO DEL LINGUAGGIO
Il linguaggio è un potente frame di riferimento attraverso cui le persone si identificano e sono identificate. La maggior parte degli studi che riguardano la discriminazione si concentrano su variabili osservabili come il tasso di chiamate ricevute per curriculum identici connotati da nomi maschili o femminili, o offerte di credito e di accesso ad abitazioni (Wood et al., 2009; Ewens et al., 2014; Bertrand and Mullainathan 2004; Knowles et al., 2001). La discriminazione avviene però anche attraverso dimensioni più difficili da quantificare come il linguaggio che viene usato parlando o scrivendo di uomini e donne. Le donne fanno esperienza di una penalità’ linguistica negli ambienti professionali in cui le qualità stereotipate dei leader efficaci – come l’aggressività, l’ambizione e il dominio – tendono a sovrapporsi alle qualità stereotipate degli uomini più che delle donne. Di conseguenza, gli uomini sono spesso considerati leader naturali quando mostrano tratti come aggressività, assertività, abrasività o competitività e quando usano tutte le caratteristiche linguistiche associate alla mascolinità, mentre le donne che mostrano queste stesse qualità e usano il linguaggio “maschile” appariranno “non femminili” – le cosiddette donne “prepotenti, spaventose, lunatiche, difficili, irrazionali”.
Le donne sono spesso legate a ruoli comunicativi o “relazionali” che sono visti come “morbidi”, meno importanti o periferici alla leadership o alla posizione di potere e influenza e hanno maggiori probabilità di finire a livello dirigenziale inferiore o medio (“pavimento appiccicoso”) e per lo più occupano ruoli clericali e amministrativi perché sono ritenute meglio attrezzate per questo tipo di lavori (Vesterlund, 2022). Riferimenti al genere che portano alla discriminazione sono stati documentati sia nelle descrizioni delle mansioni, negli annunci di reclutamento e, cosa più importante per l’avanzamento di carriera, nella valutazione delle prestazioni e nelle valutazioni delle promozioni uso diffuso del linguaggio di genere, ad esempio, nelle lettere di raccomandazione nel mondo accademico (McCarthy & Goffin, 2001; Trix & Psenka, 2003; Schmader, Whitehead, and Wysocki, 2007), nelle valutazioni didattiche (Beg et al., 2021; Mengel et al., 2018), proposte di sovvenzione (Kolev et al., 2019) o articoli accademici (Hengel, 2017).
LE SOLUZIONI
Le politiche standard di cui è stata testata l’efficacia comprendono: la regolamentazione come le leggi che richiedono eguale remunerazione, le azioni affermative (Beaurain and Masclet, EER 2016; Holzer and Neumark, JEL2000), le quote (Besley, et al., AER 2017; Pande and Ford, WB 2012), ma anche la pubblicazione di target e dati (Jack Blundell, 2021; Sevilla and Gamage, 2018) e l’adozione di pratiche che richiedono criteri più chiari nella valutazione e nella giustificazione delle scelte, riducendo l’importanza degli elementi soggettivi nella valutazione fornendo indicatori di prestazione molto chiari, dando feedback non ambigui (Cecchi and Di Meglio, 2017) o combinando valutatori di diversa provenienza (Bohnet, 2016) anche rendendo anonime le valutazioni (Goldin and Rouse, 2000).
Le scienze comportamentali hanno poi indicato una serie di interventi diretti sui pregiudizi inconsapevoli, che solitamente comprendono: test di associazione implicita accompagnati da un debriefing, educazione sui principi psicologici alla presenza naturale dei pregiudizi inconsapevoli, informazioni sui loro impatti e tecniche suggerite per mitigarli che vanno dall’esposizione a situazioni non stereotipate per aiutare la rimozione della caratterizzazione di gruppo a favore dell’individuazione (Atewologun et al, 2018; Perry, 2017; Burns et al 2016; Gilliam et al, 2016; Campbell, 2015; Devine et al, 2013; Teal et al, 2012). Non dimentichiamo naturalmente che la stereotipizzazione è un meccanismo inconscio che applichiamo anche a noi stesse, e dunque il lavoro, come in tutte le buone pratiche femministe, deve partire da sé.
NOTE
[1] I genitori percepiscono anche l’intelligenza dei loro figli come superiore a quella delle loro figlie, mentre i bambini percepiscono l’intelligenza dei loro padri come superiore a quella delle loro madri (Karwowski et al., 2013).RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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ABSTRACT
This article discusses the ways in which behavioral science allows to understand both the psychological origins of gender discrimination through lab and field experiments as well as evidence from computational linguistics, and discusses how this evidence can help enhance the effectiveness of current policies as well as design new ones based on both nudges and more structured behavioural interventions around role models and combating biases.