
La riforma del codice dei contratti pubblici è un tassello della strategia di innovazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che in materia già ha generato un primo intervento (il D.L. n. 77/2021), e va completato, anche con il pieno funzionamento del sistema nazionale di e-procurement, entro la fine del 2023, pur se potranno essere apportate correzioni o integrazioni entro i due anni successivi.
Qualche notazione merita anzitutto il metodo di confezionamento del nuovo codice, basato sullo schema ormai ricorrente della delegazione legislativa (con le Camere che definiscono indirizzi con legge, ed il Governo che li attua con un testo racchiuso in un decreto legislativo, riguardato in Parlamento prima dell’emanazione), con la notevole variante che la stesura dell’articolato normativo è stata affidata (in base a una disposizione del 1924) al Consiglio di Stato, presso il quale è stata costituita una Commissione speciale, composta da magistrati ed avvocati dello Stato, ma anche da esperti esterni (non solo giuristi: vi hanno lavorato economisti, ingegneri, esperti di drafting, un informatico e un accademico della Crusca), la quale ha potuto, per un verso, recepire agevolmente gli orientamenti giurisprudenziali consolidatisi negli anni, e per altro produrre un impianto multidisciplinare, semplificato – per quanto possibile – sul piano linguistico, e verificato in termini di fattibilità tecnico-economica con simulazioni applicative.
Se poi si considera che il PNRR, la legge delega e l’affidamento della redazione al Consiglio di Stato, sono stati impostati dal Governo Draghi (e dalla maggioranza della scorsa legislatura, come noto molto diversa dalla attuale, anche quanto al numero di parlamentari), e che il decreto legislativo, che ha recepito pressocché integralmente il lavoro di Palazzo Spada, è invece dovuto al Governo Meloni, si può dire che il prodotto normativo, sul piano politico, è frutto di un perimetro ampio di apporti, difficilmente imputabile, per intero, ad una sola parte; e la penna tecnica con cui è stato steso rafforza questo connotato, aggiungendovi quella che potremmo definire l’autorevolezza giudiziaria, la consapevolezza cioè che è prevedibile una notevole corrispondenza tra le disposizioni del nuovo codice e le sue applicazioni giurisdizionali.
Il risultato di questo lavoro largo è un Codice composto di 5 libri, 229 articoli, 36 allegati, apparentemente cospicuo quanto quello del 2016, ma con un novero di disposizioni molto ridotto, ampiamente esecutivo (non vi sono rimandi cogenti ad atti attuativi successivi), ma soprattutto basato su un impianto dovuto alla esplicita definizione di alcuni “principi generali”, posti in apice all’articolato.
Al di là delle considerazioni tecniche su questa impostazione (e sulla descrizione dei singoli principi), essa risponde, anzitutto, ad una diffusa percezione che vede in una disciplina rigida e troppo dettagliata dei contratti pubblici la concausa di incertezze, ritardi, inefficienze, maladministration. Ma anche ad una sorta di spirito del tempo, dato che gli ordinamenti giuridici contemporanei fanno ormai spesso ricorso, appunto, a principi e clausole generali, esperti come siamo tutti del fatto che la realtà sociale è orientata, per dir così, ad una complessità in perenne aumento, e si fa fatica perciò ad inseguirne ogni aspetto, ed ogni dinamica, con una specifica disposizione normativa; e per quanto ci sia chi teme le conseguenze della disciplina giuridica per principi, per esempio perché ridurrebbe la prevedibilità del Diritto e aumenterebbe il soggettivismo, ed il ruolo del giudice, è innegabile che questa tecnica consenta di affrontare casi concreti che non siano sussumibili in una precisa fattispecie legale, come appunto il mondo d’oggi, complesso, tecnologico, dinamico e rapido, impone, piaccia o meno.
Non è possibile, naturalmente, svolgere un’analisi, neppure per sommi capi dei principi recati dalla Parte I del nuovo Codice; già la loro elencazione, tuttavia, può fornire indicazioni significative: sono infatti richiamati e descritti i principi del risultato, della fiducia, dell’accesso al mercato, di buona fede e di tutela dell’affidamento, di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale, di auto-organizzazione amministrativa, di autonomia contrattuale, di conservazione dell’equilibrio contrattuale, di tassatività delle cause di esclusione e di massima partecipazione, di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore. Essi contemplano, anche esplicitamente, altri principi già immanenti e noti, come quelli di legalità, imparzialità, buon andamento, trasparenza, concorrenza, non discriminazione, pubblicità, proporzionalità.
Su ciascuno di essi, e sulle loro connessioni, è facile pronosticare l’imminente arrivo di un’ampia messe di studi e commenti, dunque non c’è ansia di aggiungerne uno ora, e qui; mi limiterei, perciò, a proporre una sorta di distillato, una sintesi estrema che cioè provi a indicare alcuni elementi di fondo dell’indirizzo politico che vi sottostà.
La gran parte dei principi “nuovi” sembrano in effetti rispondere ad una direzione che ritiene giunto il momento di dare maggiore fiducia alle amministrazioni pubbliche, ed alle imprese che con esse cooperano nella filiera dei contratti pubblici, che la relazione di accompagnamento al testo definisce esplicitamente “una versione evoluta del principio di presunzione della legittimità dell’azione amministrativa”; e ciò in funzione di un orientamento decisamente capitale, tanto da essere posto all’esordio di tutto il codice: il principio del risultato (art. 1), che la medesima relazione definisce “l’interesse pubblico primario del codice, come finalità principale che stazioni appaltanti ed enti concedenti devono sempre assumere nell’esercizio delle loro attività”.
Operazioni affidabili, tempestive, equilibrate sul rapporto tra qualità e prezzo, sono insomma il bersaglio grosso della riforma, in una ridefinizione della responsabilità degli agenti pubblici e privati rivolta ai risultati conseguiti, cui vengono in qualche modo orientati anche altri principi, in passato invece disposti in alto ed al centro. Ad esempio, la trasparenza e la concorrenza sono esplicitamente collocate in posizione strumentale al risultato, in funzione di massima semplicità e celerità, e verificabilità (v. l’art. 1, co. 2); ma in fin dei conti non diversamente accade anche con altri, pur importantissimi principi, ma che sono ritenuti tali appunto in quanto concorrono (anche) a garantire l’effettività dei lavori, delle forniture e dei servizi.
L’autorevole competenza tecnica impiegata nella redazione della riforma spiega disposizioni come quella dell’articolo 4, il quale, nello stabilire che le disposizioni del codice si interpretano e si applicano in base ai principi del risultato, della fiducia e dell’accesso al mercato, non solo li rende il Nord dell’intera bussola dei contratti pubblici, ma svela un’importante manovra: il legislatore, sulla scorta della giurisprudenza (anche di quella recente della Corte costituzionale), si assume – com’è corretto – il compito della definizione della opzione preferenziale, della graduazione e del bilanciamento tra i principi, un lavoro che è integralmente politico e non va perciò lasciato impropriamente (ed ingiustamente) ad altri.
La scelta di dare centralità a quei principi può avere conseguenze consistenti; ne è un importante esempio, uno dei più discussi, la notevole semplificazione delle procedure per gli affidamenti più diffusi (i dati Eurostat ci dicono che valgono all’incirca l’80 per cento della spesa complessiva per appalti e concessioni), quelli che non siano di interesse transfrontaliero ed abbiano un importo inferiore alle soglie europee (più o meno 5 milioni di euro per lavori e concessioni, 140.000 euro per gli appalti di forniture o servizi, anche di progettazione, che sale a 215.000 euro per quelli affidati da a stazioni appaltanti sub-centrali, 750.000 euro per gli appalti di servizi sociali). Gli affidamenti diretti che il codice oggi consente senza bando e confronto, la procedura negoziata anch’essa senza bando (con almeno cinque o dieci operatori a seconda della rilevanza), e la possibilità di impiegare le procedure ordinarie se ce n’è motivazione, sono non solo una conferma di assetti già sperimentati grazie a disposizioni che vigono sin dal 2020, ma appunto sono stati proposti dalla Commissione tecnica del Consiglio di Stato, sulla scorta di valutazioni positive circa il loro funzionamento. Insomma, anche qui è difficile vedervi una inclinazione politica “di parte”.
Ma quell’orientamento si scorge anche nella confidenza che il nuovo codice vi ripone in ordine al contrasto alla cd. amministrazione difensiva, alla “paura della firma”, fenomeno ampiamente rilevato e spiegato in letteratura negli ultimi anni, che ha già portato ad una ulteriore riformulazione, nel 2020, del reato di abuso d’ufficio (ed oggi fa discutere addirittura della sua abolizione). In effetti, una inclinazione al risultato, alla fiducia ed alla maggiore partecipazione degli operatori economici, serve anche per valutare la responsabilità dei funzionari e delle funzionarie, e a favorire e valorizzare la loro iniziativa e l’autonomia decisionale nelle valutazioni e nelle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni; e ciò, sembra essere l’auspicio, dovrebbe ridurre il “sospetto” con cui vengono trattate le pubbliche amministrazioni e chi vi lavora, aggravato da una normazione di estremo dettaglio che riduce l’esercizio della discrezionalità, e favorisce controlli minuti, e dubbi (anche per responsabilità amministrative, civili, contabili o penali) non di rado rivelatisi, poi, del tutto infondati.
Molto impegnativo, infine, è l’indirizzo tecnologico recato dalla riforma, in primo luogo in ordine alla digitalizzazione, cui è dedicata l’intera seconda parte del Libro I, con l’ambizione di estenderla all’intero ciclo di vita dei contratti pubblici, e dunque alla programmazione, alla progettazione, alla pubblicazione (e-notification), all’affidamento (e-submission) e alla esecuzione, in un vero e proprio “ecosistema nazionale di approvvigionamento digitale”, che dunque deve essere in grado di garantire la complessa gestione di uno smart procurement, “la digitalizzazione completa delle procedure di acquisto fino all’esecuzione del contratto”, mediante banche dati, piattaforme e servizi digitali, fascicoli virtuali.
Ma la parte più futuribile è quella che si riferisce all’automazione, cioè all’uso di “soluzioni tecnologiche, ivi inclusi l’intelligenza artificiale e le tecnologie di registri distribuiti” con cui adottare atti e prendere decisioni; alcuni tipi di affidamenti possono in effetti già facilmente essere governati da sistemi completamente automatizzati, dato che, anche nella conduzione umana, si tratta di usare formule matematiche, dati e numeri (si pensi alle selezioni basate esclusivamente sulla comparazione del prezzo), mentre è più complesso il ricorso all’automazione per le decisioni discrezionali, come quelle in cui vada valutata anche la qualità delle offerte.
Le norme europee, è noto, consentono di rifiutare (quasi sempre) una decisione integralmente automatica, e il nuovo codice sembra adottare un indirizzo di fondo che viene spesso definito antropocentrico, per cui nel processo decisionale dei contratti pubblici va assicurato un contributo umano capace di controllare, validare o anche smentire la decisione automatizzata, vanno evitati effetti discriminatori non governati ed impropri, e comunque si ha diritto a ricevere informazioni significative sulla logica utilizzata dalla macchina. Al momento, perciò, per le decisioni che contemplano discrezionalità continua ad essere prevista una commissione la quale, pur operando attraverso piattaforme di approvvigionamento digitale per la trasmissione e la valutazione della documentazione di gara e delle offerte dei partecipanti, resta pur sempre composta di decisori umani; ed al contempo viene programmato per il 2025 l’utilizzo estensivo del Building Information Modelling – BIM, lo strumento di gestione digitale della progettazione e dell’esecuzione dei lavori (e in futuro, utile anche per le manutenzioni), pur se è possibile in taluni casi utilizzarlo da subito, e sono perciò predisposte norme tecniche al riguardo.
In estrema sintesi, verrebbe da dire che, almeno ancora per un po’, avremo a che fare con un’amministrazione dei contratti pubblici che potremmo dire androide, in cui non solo materiale digitale e cartaceo, ma soprattutto lavoro automatico ed umano continuano a convivere, con un orientamento molto chiaro, tanto che da subito il codice provvede a fornire alcune garanzie di “cittadinanza digitale”, quali i principi relativi all’unicità dell’invio (once only), alla neutralità tecnologica, alla trasparenza, alla interoperabilità, alla protezione dei dati personali e alla sicurezza informatica.
Insomma, l’impianto di fondo del nuovo codice scommette sulla rivitalizzazione di una pubblica amministrazione affidabile, dinamica ed efficiente, che trova leale cooperazione in un sistema di imprese pronte a fornire un lavoro di alta qualità, e con ognuno degli attori pronto a imboccare il percorso di transizione digitale dell’intero ciclo di vita dei contratti pubblici, che può condurre ad una automazione spinta e, in prospettiva, completa del procurement. Vasto programma, perciò, ed ambizioso assai, ma con un orientamento molto consapevole, ed attrezzato sul piano tecnico; se dunque si può non essere concordi su tutto, e molto andrà verificato nei fatti, sembra poco dubbio che, una volta tanto, siamo al cospetto di una riforma determinata e di chiara impostazione, che, come le leggendarie pentole del diavolo, dovrà fare i conti con i coperchi del trattamento scientifico, tecnico, operativo. E con i risultati che riuscirà a produrre.
ABSTRACT
The article illustrates the basic elements of the reform of the Italian discipline of public contracts, starting with the method used to generate it, and the emphasis placed on certain ‘general principles’, placed at the beginning of the text to give orientation to the entire legal code, which aims at a reliable, dynamic and efficient public administration, that finds loyal cooperation in a system of companies ready to provide high-quality work. It analyses some aspects of the digital transition of procurement, and some of the perspectives that hint at the automation of operations also for public contracts.