
Da più di trent’anni ci si interroga, con una certa regolarità, sulle possibili strategie da attivare per una maggiore efficacia del sistema culturale. Sono stati molti, a ben guardare, gli interventi normativi e regolamentari che di volta in volta hanno cercato di imprimere una svolta. Magari presentati impropriamente come riforme, si sono limitati a spostare in avanti la soglia del possibile, introducendo innovazioni parziali che sembravano preludere a mutamenti sistematici e che, invece, hanno finito per calcificare la tendenza tutta italiana (i.e. bizantina) a rinominare le fattispecie giuridiche, a mescolare rigidità pubblicistiche con disinvolture privatistiche, a sondare il terreno con azioni parziali.
In questa cornice irredimibilmente ambigua, l’ossimoro risiede nella coesistenza – tutto sommato accettata, quasi data per scontata – di una lettura quasi etica del valore culturale da una parte, e di un approccio meccanicistico alla sua fenomenologia. Così, la biblioteca del sistema culturale ospita negli stessi scaffali testi sacri e manuali di economia. Belle letture, per carità, ma molto rischiose: gli uni cercano improbabili catarsi in dogmi e tabù; gli altri schematizzano un mondo dominato da meccanismi ‘if-then’ che sempre di meno sanno interpretare la complessità della società contemporanea. L’ennesima manifestazione ne è l’annuncio della piattaforma “AD Arte”, un semplicissimo servizio digitale da cui ci si aspetta forse un po’ troppo.
Si chiama ‘shoe leather effect’: quando c’è l’inflazione si cammina di più per ritirare il denaro più spesso agli sportelli automatici. Ora, è plausibile che la frammentazione dei servizi di pagamento relativi agli ingressi e ai servizi dei musei comporti questo costo (che di fatto si concreta in maggior fatica, tempo perso, macchinosità dei canali di scelta e di acquisto). Una piattaforma è certamente utile, soprattutto per i musei minori e isolati. Allo stesso modo, sono stati utili i biglietti cumulativi per le visite nella stessa area? Hanno facilitato i percorsi di visita le card che hanno incorporato varie opzioni di pagamento? Sarà vantaggioso aggirare il merletto gestionale e finanziario (spesso anche curatoriale) che caratterizza le concessioni museali?
Una protesi, per quanto efficace, non agisce sulla sostanza delle cose. L’ingresso annunciato di “AD Arte” combacia, acrobaticamente, con l’intenzione dichiarata di de-internazionalizzare le direzioni dei musei autonomi, in nome di una ritrovata autarchia culturale che tanto somiglia a una chiusura un po’ vintage; e con la controriforma della struttura del Ministero stesso, che ripristina la separazione binaria fra tutela e valorizzazione e sostituisce l’articolazione delle aree con un accentramento ossuto. Così, in un sistema culturale fertile e vitale, che richiede versatilità delle visioni e flessibilità delle azioni, si finisce invece per irrigidire ulteriormente un assetto istituzionale che dovrebbe rispondere a urgenze valoriali sempre più delicate.
Perché “AD Arte” possa generare qualche beneficio, è indispensabile (e sempre meno differibile) scoperchiare la questione di fondo sull’identità stessa dei musei e, se si vuole, del sistema culturale nel suo complesso. La temperie di questi anni complicati suggerisce che la catena del valore culturale si mostra sempre più cruciale per restituire alla società quella visione critica che le risse binarie tra civilizzati contriti e bruti assertivi stanno drenando pericolosamente. Una piattaforma digitale serve se si colloca a valle di un sistema incisivo. La strategia da costruire dovrebbe partire da una rete neurale della conoscenza che musei, archivi, biblioteche e altre istituzioni culturali custodiscono, qualche volta offrono, raramente fertilizzano.
Da questa prospettiva, un indirizzo strategico simmetrico dovrebbe superare la lettura meccanicistica della domanda, che non è costituita da maniaci monotematici, ma al contrario da curiosi inclini all’inciampo e alla scoperta. I dati che “AD Arte” promette di rilevare e analizzare rischiano di essere interpretati con un algoritmo à la Amazon, che finisce per incancrenire le scelte di consumo lungo un sentiero di specializzazione. Chiunque di noi entri in una libreria sa per certo che ne uscirà con libri inaspettati, il cui desiderio scaturisce dalla casuale esplorazione degli scaffali. La mancanza di indirizzi coerenti allarga lo spettro delle scelte e arricchisce il mercato dell’editoria: una strategia laica genera valore culturale e ne sostiene le dinamiche finanziarie.
Profilare i visitatori – adottando il consueto schemino socio-demografico che di fatto non ha alcun valore predittivo – potrebbe finire per drenare il dialogo tra un museo che offre una lettura pertinente dello spirito del tempo da una parte, e un visitatore che ne attraversa le sale non più per compiacersi ma per interrogarsi, dall’altra. Il che potrebbe porre l’ulteriore questione dei percorsi: il format del museo resta magnificamente ottocentesco. Non si tratta di smantellarlo, ma di renderlo interpretabile anche con una nuova e più estesa reticolarità dell’offerta culturale nel tessuto urbano e territoriale (qui una piattaforma che fluidifichi gli scambi, espanda le opzioni, sistematizzi le relazioni e lasci scoprire fasce d’offerta inedite potrebbe risultare davvero utile).
Tutto questo passa per un fattore di fondo tuttora oscuro: quel è la finalità del sistema culturale pubblico? Le leggi e i regolamenti presentano, in apertura, lunghi e densi elenchi di finalità che a una lettura neutrale risultano molto sentimentali e poco misurabili. Una vulgata che si insinua da molto tempo nel dibattito enfatizza la necessità di ‘messa a reddito’ del patrimonio culturale, con alcune derive piuttosto obsolete (il turista straniero ricco e da spremere, il prezzo d’ingresso come asticella dal valore, etc.). Ora, la spina dorsale di una strategia culturale dovrebbe ambire a stabilire un rapporto di fiducia sistematica con un visitatore che resti a lungo, torni ancora, porti qualcuno con sé, diffonda un entusiasmo contagioso, magari doni.
La struttura attuale dei musei italiani, ibrida e contraddittoria nel suo volersi fingere avanzata senza pestare i calli a nessuno, non permette alcuna strategia sostenibile, e rischia di vanificare strumenti pure utili come si prefigura “AD Arte”. A fronte del ridisegno dell’offerta culturale territoriale, che passa per il suo innervamento negli spazi urbani, occorre ripensare il rapporto di scambio con una domanda che non soltanto è eterogenea e multidimensionale, ma soprattutto esperisce un processo di apprendimento e apprezzamento in tempo reale. Il valore dell’esperienza culturale emerge in corso d’opera: la sua dimensione e la disponibilità a pagare che la rappresenta possono manifestarsi attraverso un efficace price management, che limiti al massimo il livello d’ingresso e faciliti le opzioni ulteriori di pagamento.
Dovunque i musei associno l’ingresso gratuito alla donazione al termine della visita, il ricavo complessivo è più elevato di quando si paga soltanto in entrata. Tutto questo può funzionare se il museo diventa davvero un’impresa culturale, con la sua responsabilità, la sua accountability, una metrica eloquente e la produzione diretta di tutto il ventaglio dell’offerta. Ceterum censeo legem Ronchey delendam esse.
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ABSTRACT
The newly announced digital tool, “AD Arte”, promises the optimisation of ticketing and service purchase, also aiming at a more even equilibrium among museums of different dimensions and importance. Past experiences, such as Cards and Joint Tickets adopted in various sites, have not displayed the expected effectiveness: smoother practices of ticket purchase should represent the last stage of a lively and versatile Cultural system. In such a framework, also the analysis of the audience, that “AD Arte” promises, could drain the interpretation of visitors into a simplistic thematic taxonomy, despite the evident heterogeneity and eclecticism of an audience whose orientations are driven by curiosity and multi-disciplinarity: the desire of non- prejudicial discovery prevails upon the complacency of belonging to a club, and an effective price management could effectively elicit the maximum willingness-to-pay.