
PREMESSA
L’ambizioso progetto della piattaforma digitale Ad Arte ha origini ancora più lontane nel tempo rispetto all’attenta ricostruzione che ne fa Giuseppe Cosenza nel suo articolo del 3 giugno 2023 su Letture Lente. Già nelle Linee Guida del Ministro Franceschini del 2014, insieme alla convenzione Consip per le nuove gare (La cultura delle gare nelle gare per la cultura, Roma, 19 febbraio 2015), si annunciava il tema di una biglietteria unica statale, individuando in questo servizio, prima che in altri, la maggiore difesa rispetto ad una progressiva invasione dei privati nei musei dello Stato e la prima maggiore innovazione per scardinare un regime fermo da anni ma, soprattutto, per la prospettiva di aumentare i guadagni dello Stato.
Il tema è molto più complesso delle critiche ricorrenti e vale la pena analizzarlo sotto molteplici profili: dall’inquadramento storico-normativo, alla sostenibilità organizzativa, economica e sociale.
IL CONTESTO STORICO
Innanzitutto i biglietti dei luoghi della cultura non sono più una tassa grazie all’ art. 1, commi 2 e 4, della legge 25 marzo 1997, n. 78, che aveva soppresso una legge del 1885, e alla ulteriore regolamentazione presente nell’Art. 100 d.lg. 490/1999 Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali. La novità, spiegata sul Numero 1 del 2000 della Rivista Aedon dal Prof. Guido Corso, era in questi termini: “La soppressione della tassa non implica la gratuità dell’ingresso nei musei e negli altri luoghi previsti dall’art. 99 del presente T.u.. La “regola” è quella del pagamento di un biglietto. Il biglietto non è, come insegnava la meno recente dottrina, una condizione per l’ammissione all’uso del bene pubblico: è il corrispettivo di un servizio a domanda individuale del quale il bene è solo l’infrastruttura (il bene aziendale) attorno alla quale viene organizzata una complessa attività di gestione, manutenzione, acquisizione. Se non si vuol parlare di corrispettivo di un servizio (criterio che in qualche caso potrebbe giustificare per il biglietto un prezzo altissimo), occorre pur sempre che l’utente concorra ai costi di organizzazione e gestione del servizio. In questa prospettiva il biglietto non è un prezzo, ma un contributo del privato utente alla copertura dei costi di una prestazione pubblica”.
Nelle decadi successive, gli effetti di maggiore rilievo di questa innovazione normativa sono stati essenzialmente due.
Il primo è che il biglietto diveniva parte integrante di un più ampio servizio al visitatore, mirato ad assicurare una migliore e più sicura accessibilità, accompagnata da un’adeguata accoglienza e da un insieme di supporti di fruizione sempre più specializzati per i diversi pubblici oltre che da eventuali iniziative di ulteriore arricchimento della visita. In altre parole, il prezzo che il visitatore avrebbe corrisposto era legato non al luogo fisico ma all’accesso all’esperienza di visita, potenziata anche da altri servizi disponibili.
Il secondo è che questi servizi hanno iniziato ad essere assicurati in molti dei più importanti siti statali per il tramite delle concessioni di servizi aggiuntivi. Già da qualche anno, dagli studi dei primi economisti della cultura, erano emersi i ritardi dei nostri musei, allora gestiti solo attraverso un’organizzazione statale, rispetto ai grandi musei stranieri già dotati di un ricco apparato di servizi. Negli stessi anni, grazie anche alle citate novità normative, si avviavano le concessioni dei servizi aggiuntivi integrabili con i servizi di biglietteria, costituendo così, sotto il controllo pubblico, la cosiddetta offerta a pagamento per il visitatore – biglietto più servizi – che comportava la ripartizione degli introiti tra il soggetto che si assumeva tutti i costi delle prestazioni (e delle tecnologie necessarie) e il titolare del bene cui spettavano sia gli introiti da bigliettazione (al netto dell’aggio del servizio) che i canoni fissi e variabili connessi alle vendite degli altri servizi.
Tale modello integrato tra biglietteria e servizi di accoglienza e assistenza al pubblico ha prodotto indubbi benefici, come l’oggettiva crescita degli introiti anche per lo Stato, della competitività dei nostri musei su scala mondiale, ma anche il sorgere di un’imprenditività e di una filiera prima inesistente che ha fatto nascere nuova occupazione e nuove figure professionali.
Questo modello ha tuttavia nel tempo mostrato diversi limiti derivati dalla assenza di “manutenzione”: i cambiamenti avvenuti con la crescita dei flussi turistici e con le evoluzioni dell’offerta, sempre più ampia e inclusiva anche di funzioni più strettamente culturali, come la programmazione delle mostre, avrebbero richiesto una serie di correttivi e miglioramenti in corso d’opera che non sono mai intervenuti. E così negli anni, in assenza di nuove norme e con il prolungarsi dei regimi di proroga, il modello ha finito con il cristallizzare pregi e difetti. Certamente è mancato anche rispetto al tema della biglietteria, ma non solo, un potenziamento della funzione pubblica di regia e di controllo da parte del Ministero e dei suoi Istituti periferici. Sarebbe stato, ad esempio, importante introdurre (imponendo i necessari adattamenti ai concessionari) un cruscotto unitario di raccolta dei dati legati agli ingressi e ai comportamenti dei visitatori, un governo strategico dei flussi, così come fornire linee di indirizzo e controllo omogenee a livello nazionale degli standard del servizio. Di fianco all’evoluzione tecnologica, dai big data all’interoperabilità dei sistemi, fino all’intelligenza artificiale, un approccio di questo tipo avrebbe meglio consentito l’evoluzione del modello complessivo, pur con modalità del tutto compatibili con le esternalizzazioni dei servizi e delle attività a livello locale.
CRITICITÀ DEL SISTEMA POST-RIFORMA DEI MUSEI
Certamente non ha contribuito, in tema di “regia nazionale” e di “livelli omogenei di servizio” di biglietteria, l’avvento delle Direzioni Autonome (con la Riforma del 2014), che hanno sostituito anche importanti strumenti di coordinamento e omogenizzazione a livello nazionale e territoriale prima in vigore, come i Comitati nazionali e regionali dei biglietti, questi ultimi finalizzati anche al coordinamento con le altre realtà territoriali. Di fatto, con la riorganizzazione del Ministero si è puntato più al potenziamento e efficientamento di musei e aree archeologiche di grande rilevanza, che ad una valorizzazione diffusa a livello nazionale di tutto l’articolato patrimonio culturale nazionale, che fosse efficace sia rispetto al contesto internazionale (subendo, come vedremo più avanti, le policy delle piattaforme multinazionali), sia rispetto al contesto territoriale, in cui si è invece attuata una separazione tra i grandi musei e il resto del patrimonio. A questa frammentazione e disparità avrebbe dovuto, nelle intenzioni della Riforma, far fronte il Sistema Museale Nazionale, promuovendo, anche in tema di visite e biglietti, strategie di rete per lo sviluppo locale e la valorizzazione dei cosiddetti siti minori, ma, come è noto, questo progetto, avviato durante il Ministero di Bonisoli, anche con proficui lavori di confronto tra istituzioni e parti sociali, è passato poi in seconda linea.
La nuova piattaforma Ad Arte verrebbe dedicata, invece, in particolare proprio a questi luoghi “minori”, circa 400 sul totale dei musei statali, tuttora privi di servizi, in ragione anche della mancata disponibilità dei privati a concorrere per le loro poco redditizie gestioni. Tuttavia anche in questo pre-giudizio si nasconde un problema di rigidità delle norme. Il d.m. 28.9.2005, n. 222 ha fissato indiscriminatamente al 30% l’aggio massimo delle concessioni di biglietteria, tanto per i pochi grandi musei sopra il milione di visitatori (il cui aggio però è sempre rimasto in tutti i contratti di concessione ben sotto la metà di questo tetto massimo) che per quelle fasce assai più numerose di musei sotto i cinquantamila visitatori. Questa soglia però rende di fatto insostenibile economicamente la loro gestione da parte di terzi, sia nel caso si applichi la forma concessoria sia laddove si volessero sperimentare nuovi modelli “cooperativi” tra lo Stato e le imprese culturali, come i Partenariati Speciali Pubblico-Privati, la cui condizione principale è che entrambi i partner escano da una logica speculativa.
A ciò si aggiunga che l’autonomia dei musei ha reso impossibile anche quella sussidiarietà che prima almeno le concessioni più ampie favorivano: e cioè che i grandi musei sostenessero quelli minori, come era nel caso ad esempio del Colosseo i cui introiti consentivano gestioni efficaci a un totale di 13 siti, oggi frammentati in una pluralità di Direzioni Autonome e Soprintendenze Speciali.
I limiti reali del vecchio modello concessorio ci sono, è indubbio, ma a questi hanno concorso problemi di diversa natura e comunque le soluzioni avrebbero potuto essere diverse e più consone alla varietà dei luoghi e dei contesti. Sarebbe infatti sufficiente favorire di più la pluralità dei modelli, come richiederebbe la ricchezza e varietà del nostro patrimonio, anche per tutelare al contempo il patrimonio di esperienza, know how e lavoro comunque presente nelle attuali imprese coinvolte. In questa direzione sembrano andare adesso i correttivi che la Direzione Musei ha voluto dare nelle circolari successive rispetto alla funzione della piattaforma pubblica Ad Arte, che non sarebbe più esclusiva e monopolizzante come nelle prime informative.
SOSTENIBILITÀ OPERATIVA. QUALI VANTAGGI NELLE DIVERSE OPZIONI DI GESTIONE: CENTRALIZZAZIONE O DELOCALIZZAZIONE E PARTECIPAZIONE?
Anche sotto il profilo gestionale le diverse alternative includono vantaggi e svantaggi, ma è cruciale considerare diversi fattori per determinare quale approccio possa essere più efficace nel garantire una gestione accessibile e di successo dei musei.
Apparentemente, un sistema centralizzato pubblico in cui l’ente pubblico sia l’unico responsabile della gestione della biglietteria per i musei sia sotto il profilo delle tecnologie che del servizio, presenta alcuni vantaggi significativi: permette uniformità e coerenza nelle operazioni adottando norme e procedure standardizzate per tutti i musei e favorisce un controllo e coordinamento diretto attraverso un unico canale che gestisce tutte le informazioni, inclusi prezzi, promozioni e orari, e i dati di vendita.
Tuttavia, ciascuno di questi vantaggi comporta rischi e conseguentemente più possibilità di insuccesso che di successo in termini di scalabilità, replicabilità e flessibilità. L’uniformità delle norme può infatti, a fronte di una pluralità molto articolata di luoghi della cultura, ostacolare quella sartorialità del sistema e delle sue caratteristiche che risponde meglio alle molto diverse tipologie di luoghi e di esperienze che ne possono risultare. Allo stesso modo, il controllo e coordinamento diretto rischiano, per ragioni legate alle complessità burocratiche e decisionali, di ingessare la gestione di una organizzazione centralizzata poco permeabile all’evoluzione dei bisogni e allo scambio con i diversi stakeholders, nonché all’adattamento ai cambiamenti del mercato. Infine viene a mancare quell’incentivo alla competizione e alla performance che ha permesso comunque negli anni alle biglietterie in concessione di affrontare i grandi cambiamenti del settore con investimenti diretti da parte dei privati in soluzioni innovative. Ricordiamo l’ultimo di questi interventi in ordine temporale: la complessa introduzione in tempi record, durante le chiusure conseguenti alla pandemia, dei voucher digitali per tutti i biglietti prevenduti e non consumati.
Anche sul fronte dei pagamenti elettronici quasi tutti i sistemi di terzi specializzati adottano una serie ormai numerosa di possibilità offerte al pubblico nazionale e soprattutto internazionale. Limitarsi all’uso di PagoPA comporterà un ostacolo per i visitatori stranieri. Infine, l’infrastruttura digitale comune per l’e-booking non tiene conto che molte aree del paese, in cui insiste una parte del patrimonio statale, mancano ancora delle necessarie infrastrutture tecnologiche, come le connessioni di rete, che ovviamente solo un investimento pubblico può sostenere.
Sul versante contrario, la biglietteria affidata a gestori diversi, oltre ad essere potenzialmente più coerente ad una offerta plurale e sartoriale e più vicina ai bisogni dei diversi pubblici, presenta alcuni benefici chiave:
expertise e specializzazione nel campo culturale, e in molti casi anche un’esperienza internazionale che permette l’adozione di best practice e soluzioni per far fronte alle emergenze; diversificazione e flessibilità, con l’adozione di diversi canali non solo on line ma anche postazioni fisiche e call center, utili per quei tanti visitatori che ancora non usano l’online e non scaricano le App; efficienza operativa, in quanto un sistema distribuito semplifica la gestione dei flussi di visitatori, riducendo il rischio di gravi errori o incongruenze, di cui i sovraffollamenti periodici possono essere causa.
È importante sottolineare quindi che possono esserci esempi di successo di gestione da parte dello Stato, così come possono esserci, e senz’altro ci saranno, casi di disfunzioni da parte dei privati. Tuttavia, è essenziale considerare queste possibili sfide quando si valuta l’efficienza dei sistemi tecnologici governativi rispetto a quelli privati. Sostituire in così breve tempo sistemi collaudati in anni di sviluppo è un’operazione alquanto complessa per gli effetti che potrà sortire, ma anche per la gestione stessa quando si dovrà cimentare con centinaia di migliaia di richieste giornaliere. Chi se ne assumerà la responsabilità?
In conclusione, anche rispetto al profilo operativo, sarebbe sempre molto più opportuna una scelta “mista” (cui sembrano in parte tendere gli ultimi chiarimenti da parte della Direzione Musei) di costruire, da un lato, una vetrina unica a livello nazionale per l’intero sistema museale che affianchi anche i sistemi locali di vendita, che gli attuali gestori devono necessariamente rendere compatibili e, dall’altro, un cruscotto analytics di controllo in tempo reale che raccolga ed elabori tutti i dati per la costruzione delle necessarie politiche nazionali. Ciò consentirebbe di salvaguardare i sistemi di vendita dei singoli musei o dei circuiti locali, supportati dalle gestioni private e, al contempo, di assicurare la necessaria piattaforma nazionale che tutti ovviamente riteniamo necessaria, anche solo per una questione di immagine e di freno agli abusi da parte delle piattaforme straniere che, senza alcun investimento nel nostro Paese, guadagnano sulla vendita dei nostri maggiori musei aggi molto più elevati di quelli degli attuali concessionari.
SOSTENIBILITÀ ECONOMICA. IL TEMA DEI COSTI E DEI MONOPOLI
Restano infine da analizzare le implicazioni economiche della nuova strategia ministeriale, sia rispetto ai costi diretti che rispetto alla capacità di generare benefici economici indiretti.
Anche la Direzione Musei per questa operazione sarà stata costretta a ricorrere a società esterne private, selezionate, ci auguriamo, in modo trasparente, ma con il rischio di rendere i costi di sviluppo e gestione ancora più elevati. Infatti i costi di investimento, che in un regime concessorio sono inclusi nella quota spettante al concessionario, risultano essere molto elevati (oltre 30 milioni nel PNNR nella Misura 1 “Patrimonio culturale per la prossima generazione”, Investimento 1.2 “Creazione di una infrastruttura digitale comune per la gestione automatizzata di servizi di e-booking, biglietteria elettronica e di profilazione dell’utenza”, ai quali forse si aggiungeranno altri 30 milioni previsti dal PON Cultura per la medesima piattaforma o per un suo duplicato, come ci spiega Giuseppe Cosenza nell’articolo già citato).
Inoltre, ai costi legati allo sviluppo delle tecnologie e all’implementazione delle apparecchiature necessarie in loco e a distanza, legate sia all’emissione dei biglietti che al controllo accessi, si aggiungeranno i numerosi altri costi di gestione di front-end e di back-end correlati al funzionamento della piattaforma (dalla manutenzione delle apparecchiature locali e centrali, all’aggiornamento continuo dei sistemi e dei processi, alla configurazione dell’offerta, alla sicurezza), anch’essi già inclusi nelle attuali gestioni e che invece andranno a gravare sui bilanci di esercizio delle Istituzioni museali, anche nel caso in cui il gestore diventasse la società pubblica Ales. Il rischio è che tali oneri siano stati sottostimati, nonostante i tanti fallimenti passati: non solo i precedenti poco esemplari di piattaforme pubbliche (vedi Very Bello, ITsArt e, in un altro contesto, Italia.it), ma anche le tante installazioni tecnologiche che, senza aggiornamento e manutenzione, finiscono spesso abbandonate nelle sale museali.
Infine, a proposito dei benefici economici indiretti, se è indubbia la capacità di modelli integrati di gestione, soprattutto nelle forme più innovative partenariali, di moltiplicare le opportunità di occupazione nel settore, a partire dalle migliaia di lavoratori impegnati nei servizi museali, e di generare anche una filiera economica tra forniture specializzate e prodotti di attori locali, resta assolutamente da verificare se, come chiede Paola Dubini nel suo articolo sullo stesso tema, la piattaforma pubblica sarà effettivamente utile anche ad altri operatori privati e all’apertura di un nuovo mercato.
A fronte di tanti dubbi resta per ora una drammatica certezza: la notizia, apparsa su tutti i giornali, che l’ingresso di Ad Arte rappresenti una reale minaccia alla occupazione degli attuali operatori museali attualmente impiegati nella gestione delle biglietterie.
PER NON CONCLUDERE… MA PER APRIRE UN CONFRONTO
Queste ultime riflessioni aprono un ultimo grande tema che è quello delle competenze e dell’impresa culturale. Lo Stato ha bisogno di competenze in grado di indirizzare, pianificare e governare prima che di inseguire e adottare strumentazioni operative che rischiano di essere inutili. Per acquisire tali competenze, bisognerebbe aggiornare ed ibridare le professionalità più tradizionali al fine di renderle capaci di dialogare con altri mondi, soprattutto quello del digitale. Storici dell’arte, architetti e archeologi non bastano, ma serve investire in una nuova tipologia di umanisti. Servono umanisti digitali, esperti di metodologie di partecipazione, di community engagement e di sviluppo locale, altrimenti la transizione digitale resterà limitata alle apparecchiature tecnologiche, non includendo quelle politiche che possono accelerare uno sviluppo diffuso e più equo del Paese, che fortunatamente gode di un’ampia disponibilità di risorse culturali e naturali, grazie alla quale si potrebbero fronteggiare da una parte i danni dell’overtourism e dall’altra i rischi di desertificazione culturale che affliggono molte aree del Paese (non dimentichiamo che l’Italia, nonostante la ricchezza del suo patrimonio culturale, presenta livelli di partecipazione culturale da parte dei cittadini tuttora imbarazzanti).
Serve più impresa culturale, in tutte le sue forme, cioè un’impresa in grado di animare, vivificare, efficientare i luoghi della cultura utilizzando le tecnologie come mezzo – e non come fine – allo scopo di migliorare la relazione con i visitatori, con le comunità e con il territorio. E serve più Stato per politiche di sostegno alla partecipazione civica e alla internazionalizzazione, ma anche di difesa delle nostre bellezze (e delle nostre imprese italiane) dai giganti del web, per strategie di promozione di itinerari sostenibili tra reti culturali e museali, magari attraverso l’offerta di card integrate con la mobilità, di regolamentazione dei flussi turistici, di controllo dei secondary ticketing. Non basta l’intelligenza artificiale per spostare agevolmente un visitatore da un grande sito alle mete minori. Ad oggi Ad Arte potrebbe, ma non è detto, rappresentare una novità tecnologica, ma certamente non è stata accompagnata da un confronto politico più ampio, anche con le parti sociali rappresentanti il settore, sui punti che abbiamo sollevato in questo articolo e che sono i grandi temi da cui dipende la gestione sostenibile del nostro patrimonio culturale.
ABSTRACT
The idea of a single state ticket office for Italian State museums – the ambitious project of the Ad Arte digital platform – is not a new one. Already in the Guidelines of Minister Franceschini of 2014 the theme of a single state ticket office was announced. This service was proposed as a ‘defense’ against a progressive invasion of private individuals into State museums and the first major innovation to undermine a regime that has been stagnant for years but, above all, a way to increase the State’s earnings. This article analyzes this idea from different vewpoints: it first provides an overview of its historical evolution and then comments organisational, economic and social sustainability aspects.