
In un momento di grande valore storico per i lavoratori e le lavoratrici dell’arte e della cultura, che vede sceneggiatori/trici e attori/trici di Hollywood in sciopero da oltre tre mesi in denuncia a condizioni di lavoro sempre più insostenibili, il più grande sciopero del genere dopo quello del 1960, sul versante europeo procede il lavoro politico e di ricerca sul tema, sempre più al centro del dibattito pubblico e accademico a seguito degli effetti della pandemia sui settori culturali e creativi. Se la proposta di risoluzione del Parlamento europeo getta le basi per la creazione di un quadro comunitario per la situazione sociale e professionale di artist* e professionist* dei settori culturali e creativi, lo studio ‘The status and working conditions of artists and cultural and creative professionals’ offre informazioni preziose per l’adozione di misure nazionali al passo con le riflessioni più recenti. Risultato di un approfondito lavoro di ricognizione e analisi delle politiche in auge (o allo studio) a supporto delle professioni artistiche e culturali, la ricerca è stata condotta da un gruppo di espert* provenienti dai 27 Paesi membri che hanno collaborato con la Commissione europea nell’ambito dell’Open Method of Coordination da settembre 2021 a gennaio 2023. L’obiettivo è stato quello di identificare sfide, buone pratiche e raccomandazioni che toccano temi quali lo status giuridico dell’artista – senz’altro la sezione più riuscita dello studio – ma anche quello delle ‘pratiche eque’ (fair practice), delle competenze e della libertà artistica.
Particolarmente interessante il metodo di lavoro utilizzato che ha incluso, oltre alla preparazione di un’indagine sulle politiche e a presentazioni e discussioni in sessioni plenarie, anche delle sessioni di lavoro in formato ‘world café’ per sottogruppi tematici.
Se la prima parte dello studio presenta il quadro di policy europee – sia in ambito culturale che sociale – che motivano questo lavoro [1], nonché le principali iniziative sul tema a livello internazionale tra cui la prima riunione tecnica dell’International Labour Organisation (ILO) sul futuro del lavoro nel settore artistico e dell’intrattenimento a febbraio 2023 [2], la seconda offre una ricca panoramica delle misure esistenti nei 27 Paesi membri – incluse una serie di buone pratiche e recenti sperimentazioni che rappresentano l’elemento più interessante dello studio. La terza è dedicata alle raccomandazioni.
Il lavoro è propedeutico alla creazione di una piattaforma online sul tema, una delle azioni chiave previste dal nuovo Piano di lavoro dell’UE per la cultura 2023-2026 adottato dal Consiglio lo scorso dicembre.
PERCORSI VERSO UNO STATUS GIURIDICO DELL’ARTISTA
Come formulato dall’UNESCO (1980), lo ‘status di artista’ si riferisce, da un lato, al valore che una società attribuisce alla figura dell’artista e, dall’altro, al riconoscimento di una serie di libertà e diritti.
Due sono le principali tipologie di legislazione che possono essere adottate per un tale riconoscimento: leggi interamente dedicate oppure provvedimenti specifici all’interno di regolamenti su questioni più generali, come i regimi di lavoro, i sistemi di protezione sociale e i regimi di tassazione.
La stragrande maggioranza dei Paesi UE (18) ha adottato leggi che contengono disposizioni specifiche per queste figure. In due Paesi (Cipro e Grecia), delle misure sono in preparazione, mentre in sette (Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Malta, Paesi Bassi, Slovacchia, Svezia) non esistono misure specifiche, benché questo non escluda che artist* e professionist* della cultura possano beneficiare della legislazione vigente per lavoratori/trici atipici.
Le norme introdotte seguono tuttavia logiche estremamente diverse. Se per esempio Paesi come Germania, Croazia, Polonia e Slovenia hanno adottato misure legate al regime di lavoro autonomo (e.g. specifici sistemi contributivi, sistema di tassazione dedicato), altri come il Belgio e la Francia hanno sviluppato dei sistemi legati al regime dei dipendenti (e.g. intermittenti dello spettacolo in Francia). Altri ancora come Spagna, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Polonia e Portogallo, hanno optato per dei sistemi dedicati sui generis, applicabili indipendentemente dal regime di lavoro.
Particolarmente degno di nota il fatto che, a differenza dell’Italia, diversi Paesi [3] hanno incluso piani di riforma relativi alle condizioni di lavoro per i/le professionist* dell’arte e della cultura nei loro Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR). È segno di una nuova consapevolezza maturata a seguito della pandemia, sia rispetto al ruolo centrale che gioca la cultura nella nostra società per la ripresa sia rispetto alla necessità di rendere più sostenibile il lavoro culturale con misure strutturali, che superano la logica del mero sussidio o dei finanziamenti a pioggia.
LA SOSTENIBILITÀ DEL LAVORO CULTURALE: SFIDE APERTE
Tra le principali questioni aperte relativamente alla creazione di uno status giuridico ad hoc resta quella della definizione stessa di artista e quindi dell’ambito di applicazione dello status. Due principali approcci possono essere osservati: una chiara distinzione tra artist* (nel ruolo di creatore e interprete / esecutore) e altr* professionist* della cultura, oppure una definizione che assimila i/ professionist* della cultura alla figura dell’artista (come nel caso francese in cui sia artist* che tecnici dello spettacolo possono avere accesso allo status di intermittent du spectacle). In Belgio e Portogallo, la definizione è stata per esempio estesa negli ultimi anni, visto che le condizioni di lavoro di chi opera in campo artistico si applicano sovente anche ad altr* lavoratori/trici della cultura. Slovacchia e Slovenia hanno invece ovviato alla mancanza di chiarezza introducendo un registro pubblico per ‘artisti professionisti’ e ‘altr* professionist* culturali’ che attualmente conta 2.700 registrazioni (Slovacchia) e pianificando una modifica al funzionamento del registro dei liberi professionisti nel campo della cultura già esistente (Slovenia). La registrazione è necessaria per accedere allo specifico sistema di previdenza sociale esistente.
Altra questione spinosa è quella della protezione sociale, generalmente accessibile in base ai contributi versati che, però, sono spesso insufficienti per gli artisti, a causa di introiti bassi e irregolari. A tal proposito, risulta molto interessante e originale il progetto pilota di ‘Basic Income for the Arts’ introdotto in Irlanda nel 2022. Il progetto fornisce a 2.000 artist* ed esecutori/trici un reddito base settimanale di 325 euro per un periodo continuativo di 3 anni. Il pagamento è imponibile ma non vi sono obblighi di fornirne alcun particolare output o attività. L’unico requisito sui destinatari è che si impegnino a partecipare ai sondaggi nel corso dello studio, così da permetterne una valutazione degli impatti. 1.000 ulteriori artist* partecipano infatti a un gruppo di controllo grazie al quale sarà possibile testare l’impatto del reddito ricevuto su una serie di variabili tra cui il mantenimento delle conoscenze e delle competenze nel settore, il tempo dedicato alla pratica creativa, l’imprenditorialità, il benessere e la diversità nel settore.
Ulteriori sfide vengono identificate in merito alle altre tre tematiche oggetto di studio.
Per quanto riguarda le fair pratice, diversi sono le ricerche che hanno già trattato del tema mettendo in luce i principali fattori all’origine di prassi sleali, tra cui la strutturale posizione di debolezza contrattuale dei creativi (dovuta sia al prevalere di contratti atipici sia alla passione più che i ritorni economici che motivano queste professioni), la mancanza di organismi di rappresentanza o ancora carenza di contratti collettivi per lavoratori dipendenti. Il rapporto evidenzia i Paesi che hanno preso i più recenti provvedimenti al riguardo, sviluppando una matrice di calcolo volta a facilitare le commissioni minime da pagare in base al tipo di attività e settore di appartenenza (Germania), campagne (Finlandia) o strategie (Irlanda) di sensibilizzazione, o ancora un vero e proprio programma di lavoro che include un budget di 6,5 milioni di euro nel 2022 e di 9 milioni di euro nel 2023 volto a ridurre i divari di retribuzione (Austria).
Più farraginosa è la questione delle competenze che, se da un lato vengono ancora una volta riconosciute come fondamentali per un posizionamento competitivo dei settori culturali e creativi, dall’altro lo studio ne evidenzia la complessa definizione a causa della natura estremamente ‘mobile’, che necessita aggiornamento continuo. In più, come indicato dal Creative Pact for Skill Manifesto, il set di competenze che si richiede al settore è davvero ampio (artistiche e tecniche, di collaborazione cross-settoriale, digitali e manageriali), per cui diventa impossibile per una singola persona acquisirlo interamente, motivo per cui la formazione permanente – in contesti sia formali che non – diventa, ora più che mai, imprescindibile.
Non da ultimo, il tema della libertà artistica ri-diventa oggi oggetto di attenzione, in ragione dei preoccupanti impatti che l’affermarsi di ideologie populiste sta avendo sulla libertà di espressione, come dimostra, con dati alla mano, il rapporto delle Nazioni Unite Freemuse (2022). La protezione costituzionale della libertà di espressione artistica, per quanto importante, risulta fragile nel contesto che stiamo vivendo, da cui una serie di raccomandazioni per l’adozione di misure che abbiano valenza legale.
RACCOMANDAZIONI PER CONDIZIONI DI LAVORO PIÙ EQUE E TUTELATE
Al di là del valore che le singole società possono riconoscere per l’arte e la cultura, lo studio ben ribadisce che dei regimi specifici vanno innanzitutto introdotti per questioni che hanno a che vedere con il benessere socio-economico della società nel suo complesso: non solo infatti il settore presenta delle condizioni di lavoro molto particolari che lo rendono strutturalmente fragile, ma la percentuale di autonomi nella cultura rappresenta ben il doppio della quota presente nell’economia generale (14% vs. 32%, Eurostat 2022). Numeri che non possiamo ignorare.
Numerose sono le raccomandazioni avanzate a questo proposito, dallo sviluppo di un quadro legislativo dedicato che copra quantomeno artist* e possibilmente altri lavoratori/trici della cultura, alla creazione di un quadro europeo con linee guida relative allo status giuridico e regimi di lavoro, previdenza sociale, tassazione, finanziamenti pubblici e mobilità transfrontaliera, all’inserimento di disposizioni relative all’equo compenso nei bandi pubblici, all’adozione di un approccio sistemico per la sviluppo delle competenze che renda il più possibile visibili e accessibili l’offerta formativa disponibile per il settore, nonché la creazione di un osservatorio di monitoraggio dello stato di ‘salute’ della libertà artistica.
Se le numerose iniziative politiche e di ricerca sul tema sembrano convergere verso un bisogno condiviso di revisione ‘sistemica’ delle modalità di remunerazione (in senso lato) delle professioni artistiche e, sempre di più, anche di quelle più diversamente connesse al mondo della cultura, i nodi che restano da sciogliere non sono banali. Un ordine di priorità andrebbe forse trovato tra le numerose raccomandazioni che la complessità del tema necessariamente richiede. Un sistema di incentivi che faciliti la registrazione di professionisti e professioniste delle arti e della cultura nonché la validazione di una tale registrazione, in base a criteri condivisi, è per esempio un passo imprescindibile, considerati i (continuamente reiterati) limiti della Classificazione internazionale tipo delle professioni (International Standard Classification of Occupations – ISCO). Occorrerebbe anche capire l’efficacia di regimi attivi da anni, come quello francese, tramite un’analisi il più possibile comparata con altri Paesi che mancano di regimi ad hoc come l’Italia. Ove questo non fosse possibile per mancanza di dati, sarebbe auspicabile un cambiamento in termini di metodo rispetto all’adozione di nuove misure ‘a prova di evidenza’. In questo senso, un piano di valutazione andrebbe sviluppato e introdotto in concomitanza all’introduzione delle misure stesse, come ci insegna l’Irlanda il cui salario minimo per gli artisti è oggetto di valutazione scientifica, come abbiamo visto – pratica rara ed estremamente preziosa in tema di politiche pubbliche per la cultura. L’Italia dovrebbe ispirarsene per una valutazione accurata del nuovo reddito di discontinuità per i lavoratori dello spettacolo e così evitare che le nuove disposizioni vengano semplicemente cancellate con un colpo di spugna dal prossimo governo per ragioni meramente politiche. Una pratica a cui siamo fin troppo abituati.
NOTE
[1] Importanti iniziative sono state intraprese a livello europeo negli ultimi anni per tutelare tipologie di lavoro atipiche, in cui rientrano anche le professioni culturali e creative, come la Raccomandazione del 2019 del Consiglio sull’accesso alle misure di protezione sociale per i lavoratori/trici dipendenti e autonom* o la Direttiva sul salario minino (v. 12-16 dello studio per approfondimenti). [2] Qui il report: https://www.ilo.org/sector/Resources/publications/WCMS_865323/lang–en/index.htm [3] Repubblica Ceca (misure sullo status di artista), Grecia (riforma del lavoro per il settore culturale), Spagna (sviluppo dello status di artista e promozione di investimenti e sponsorizzazioni culturali) e Romania (riforma del sistema di finanziamento, inclusa una proposta di legislazione sullo status dei lavoratori culturali).ARTICOLI CONNESSI
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ABSTRACT
Amid a significant historical juncture for art and culture workers, Hollywood screenwriters and actors are in a notable strike, lasting over three months, protesting unsustainable working conditions – the largest such strike since 1960. Simultaneously, in Europe, political and research endeavors are gaining momentum, driven by the pandemic’s impact on cultural and creative domains. If the European Parliament’s resolution motion (June 2023) sets the groundwork for a communal framework addressing the professional and social status of cultural and creative sector workers, the report ‘The Status and Working Conditions of Artists and Cultural Professionals’ provides essential insights for aligning national strategies with the latest discourse. This comprehensive research, executed between September 2021 and January 2023, engaged experts from all 27 EU member states, convened by the European Commission under the Open Method of Coordination. The study identifies challenges and best practices, and provides recommendations in four main areas: the status of the artist, fair practice, skills, and artistic freedom.