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LETTURE LENTE - rubrica mensile di approfondimento
Il libro di Oliviero Ponte di Pino affronta in modo diretto e senza reticenze alcuni dei principali “temi sensibili” connessi alla cultura, presentando otto paradossi che ci invitano a riflettere su quello che si dovrebbe fare ma che non è stato fatto per motivazioni differenti

La casa editrice Vita e Pensiero ha lanciato una collana chiamata “Piccola biblioteca per un Paese normale” la cui ambizione è quella di fornire elementi di riflessione e di prospettiva su ambiti chiave che storicamente soffrono di vincoli e criticità e che invece potrebbero e dovrebbero rappresentare nodi di sviluppo e di rinascita del nostro Paese. Dalla giustizia, alla digitalizzazione, dalla pubblica amministrazione alla sanità pubblica, per citarne alcuni. Non poteva mancare la cultura, ed è stato Oliviero Ponte di Pino a raccogliere questa sfida così impegnativa. L’autore, la cui lunga esperienza professionale gli ha consentito di operare in settori e contesti produttivi molto differenziati che spaziano dall’editoria, al teatro, ai festival e alle industrie culturali, in poco meno di duecento pagine e con un grande sforzo di sintesi e di sistematizzazione è riuscito ad affrontare in modo diretto e senza reticenze alcuni dei principali “temi sensibili” se parliamo di vincoli e di nuove prospettive per la cultura. Il rapporto tra cultura e democrazia (e potere), il modo con cui la politica nazionale si è occupata (e si sta occupando) dei settori culturali, come cambia il ruolo e l’impatto della cultura alla prova delle tante trasformazioni economiche, sociali e tecnologiche, il lavoro culturale sono alcune delle molteplici aree di investigazione del volume che diventa qui difficile poter restituire tutte con adeguata ricchezza di dettaglio.

Con una prosa molto diretta e un’intenzione genuinamente divulgativa l’autore utilizza lo strumento del paradosso per evidenziare ambivalenze e contraddizioni che pur nella loro incontestabile evidenza rimangono inascoltate e più spesso eluse da coloro che dovrebbero occuparsene. Nel libro sono infatti esplicitati otto paradossi che ci invitano a riflettere su quello che si dovrebbe fare, ma che non è stato fatto per motivazioni differenti. Il primo paradosso che Ponte di Pino ci suggerisce riguarda la partecipazione. Alla base dell’identità nazionale c’è la cultura, ma la partecipazione degli italiani è molto scarsa anche in rapporto con quanto succede all’estero. Tanta offerta, poca domanda interna. È come se a fronte di un hardware molto potente, ci fosse un sistema operativo datato e incapace di “far girare” i nuovi software. Uscendo dalla metafora informatica, nel libro si evidenzia l’incapacità storica delle politiche culturali (e delle diverse classi dirigenti che negli anni si sono alternate) ad affrontare in modo sistemico il tema della crescita dei consumi e delle pratiche culturali e la mancanza di contesti che abilitino e stimolino l’innovazione e le consentano di attecchire producendo impatti, ma anche crescita e lavoro.

Il lavoro in cultura è uno degli altri paradossi che il libro mette in forte evidenza. Da un lato le ricerche e le statistiche ci ripetono come quello culturale e creativo sia un ambito produttivo vitale e dinamico che genera valore e dà lavoro a milioni di persone (l’ultimo rapporto Symbola parla di un impatto nel 2021 pari al 5,9% della forza lavoro complessiva), dall’altro il lavoro artistico e culturale non viene percepito come un lavoro “serio” e le condizioni contrattuali ed economiche non sembrano dare ragione alla narrazione di una cultura come settore identitario e trainante dello sviluppo nazionale. Il libro entra qui nello specifico raccontando di una situazione fortemente polarizzata tra poche figure di successo dello star system artistico e mediatico che hanno guadagni stratosferici e la maggioranza dei lavoratori, soprattutto giovani e precari, che sono costretti a sopportare condizioni economiche ai limiti dello sfruttamento (spesso tollerato più che in altri settori in ragione di componenti aspirazionali e vocazionali che si tendono ad associare al lavoro in cultura), peggiorate semmai durante e dopo il Covid.

Il libro racconta, inoltre, di differenze che spesso si traducono in situazioni di pericolosa diseguaglianza a livello territoriale, sociale ed economico sia per quanto riguarda l’offerta sia per le opportunità di partecipazione e di crescita che la cultura consente e che le politiche e i programmi negli anni non sono riusciti ad equilibrare. Abbiamo inserito nella Costituzione i Livelli Essenziali di Prestazione, ma la sperequazione territoriale continua a crescere, così recita un altro dei paradossi. Sul tema della cultura come diritto di tutti il libro ritorna in più punti e da angolazioni diverse. In una di queste si evidenzia, ad esempio, come la mancata inclusione di fasce importanti di popolazione sia anche questione della composizione dei gatekeepers; in Italia “i guardiani dei cancelli che decidono quello che possiamo o che non possiamo vedere, leggere e ascoltare sono quasi tutti maschi bianchi e solitamente piuttosto anziani, quasi tutti di estrazione borghese” e per sperare che la programmazione cambi e si apra coinvolgendo nuove fasce di pubblico potenziale “è necessario un radicale cambio dei programmatori”.

L’ultima parte del volume è dedicata al che fare, alla necessità di ribaltare la prospettiva, che per Ponte di Pino significa molte cose a partire dal bisogno di liberarsi dal conformismo, dalle inerzie e dalle rendite di posizione che sempre più sovente sembrano caratterizzare le posture dei diversi attori che si alternano sulla scena culturale. Il libro ci richiama all’importanza di ampliare progressivamente l’orizzonte dei domìni in cui la cultura può intervenire nell’offrire strumenti per rafforzare la cittadinanza, affrontare le sfide della contemporaneità e per perseguire un obiettivo molto importante: evadere la dittatura del presente. Arte e cultura aiutano a prefigurare futuri possibili e auspicabilmente desiderabili. La condizione attuale, in cui la nostra capacità di aspirare sembra irrimediabilmente fiaccata e non ci sentiamo più titolati a pensare a un futuro che ci veda protagonisti è il termometro di una cultura anemica e anestetica.

In una recente presentazione al salone del libro Bruno Gambarotta, con un’immagine molto felice, ha definito il libro come una carta nautica per navigare nei mari perigliosi della cultura e proponeva che, come tutte le carte nautiche, venisse aggiornata periodicamente. Una carta per navigare certo, ma anche una carta da cui (ri)partire per avviare in modo critico e libero conversazioni e proposizioni su temi di comune interesse. Che per Hannah Arendt rappresentava il significato profondo di democrazia.

ABSTRACT

In “Cultura. Un patrimonio per la democrazia”, Oliviero Ponte di Pino deals directly but effectively with many crucial topics such as the relationship between culture and democracy, the way in which national politics has dealt with cultural sectors, the changes in the various participation forms, the limits of the cultural work. Through the instrument of paradox, the author makes us reflect on the many nodes that limit the potential of a cultural sector from which it is essential to restart also to ensure a better democratic context.

 

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Alessandro Bollo

Alessandro Bollo

Alessandro Bollo, manager culturale, attualmente project manager della Fabbrica del Vapore di Milano, già direttore della Fondazione Polo del ‘900 di Torino. Precedentemente è stato co-fondatore e responsabile Ricerca e Consulenza della Fondazione Fitzcarraldo. È docente in diversi corsi e master a livello nazionale e internazionale occupandosi di economia e di politiche della cultura, di museologia e management culturale. Dal 2011 ha collaborato alla candidatura di Matera a Capitale Europea della Cultura per il 2019 facendo parte del comitato tecnico e coordinando la redazione del dossier finale di candidatura.

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