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LETTURE LENTE - rubrica mensile di approfondimento
“Generazione Bellezza”, il programma scritto e condotto da Emilio Casalini per RAI3, ha inaugurato il suo 2023 presentandoci venti casi italiani produttivi di bellezza territoriale. Ognuno di essi è innescato da sogni personali diventati comunitari e sempre trasformativi di patrimoni locali tradizionali. Un caso di narrazione partecipativa: diventa parte della missione di chi racconta e ne aumenta il valore di cambiamento. Non siamo quindi di fronte a un fatto televisivo, la cui critica possa riguardare solo il suo format e lo stile di comunicazione, ma a un fatto politico, sociale ed economico che indica, insieme ai suoi protagonisti, un’opzione di sviluppo del nostro Paese nel contesto europeo e internazionale
© Foto di Conor O'Nolan su Unsplash

L’era dei super umani è tema e copertina dell’edizione primaverile di Wired Italia, rivista di tecnologia e futuro. Sfogliandolo non ti attendi altro che IA e robotica e il sottotitolo propone proprio questo sviluppo del tema, preconizzando addirittura la mutazione in una nuova specie. Poi una domanda (“quali sono le conseguenze?”) e titoli di sommario che portano consapevolmente a ciò che manca. Sono in greco, a partire dal prologo “cogito ergo super”: νοῦς (spirito, mente, ragione), κράτος (vigore, forza, potenza), εὕρημα (scoperta, invenzione); ὅπλον (strumento, attrezzo, arma). Non dovrebbe sorprenderci – dovremmo addirittura attenderlo – se il prossimo numero ci portasse alla superumanità dei luoghi e delle storie che Emilio Casalini ci ha resi prossimi con la nuova serie del programma prodotto e trasmesso dalla RAI, “Generazione Bellezza”: la parola di compimento sarebbe proprio ἀγλαΐα (splendore, gioia, bellezza). Gli uomini e le donne che ha reso personaggi sono superumani contemporanei di questo Pianeta e del nostro Tempo: lo sono, e addirittura accadono come diciamo dei miti, perché ne sentiamo un bisogno profondo e qualcuno – questa opera narrativa – ha dato loro vita.

Luciano Floridi, filosofo della contemporaneità, indica l’urgenza che la produzione tecnica, nella sua accelerazione e nella complessità che consente, goda di un surplus di senso e cooperazione. Una raccomandazione confermata dal buon senso della gente più semplice, nella nostra comune quotidianità. La mancanza di una destinazione e di una relazione che la faciliti è il “buco nella pancia” che la tecnologia non può risolvere e al quale, se lasciata sola, supplisce maldestramente. Ci interroghiamo su quando e come una macchina potrà provare emozioni, intrattenere relazioni consapevoli e discernere il bene dal male. Non ci preoccupiamo, con pari curiosità e tensione, di quanto queste stesse capacità vengano meno alla coscienza di donne e uomini. La migliore filosofia si preoccupa dell’evoluzione delle macchine quanto dell’involuzione dell’umanità, di come pensiamo e agiamo collettivamente la sua attesa realizzativa e di bene.

È proprio questo il campo – locale e universale insieme – in cui troviamo in cammino gli autori e tutta la produzione di Generazione Bellezza. L’affermazione dei suoi contenuti (casi e microstorie contemporanee di creatività artistica, sociale ed economica del nostro paese), nel preserale di RAI3, viene da una rispondenza gratificante e accessibile al bisogno di pacificazione che si diffonde fra la gente. Indica la fiducia prima della competenza come capitale di innesco e la sua condivisione alimenta speranza. Il messaggio del programma/manifesto di questa Italia è chiaro: il bene è possibile e la bellezza utile, il cercarli e dirli sono un esercizio indispensabile, affidarsi alla loro azione è l’opzione ancora intentata che può interessarci e ci riguarda personalmente.

“TUTTO QUESTO È ECONOMIA!”

“Questa è poesia!”. Direbbero all’unisono un economista, un sociologo e un politico, interrogati sulla pertinenza di questa opera narrativa ai loro rispettivi campi, allontanandone la minaccia e voltandosi nuovamente ai loro dibattiti. “Tutto questo è economia!”, anche medicina, politica e tutto ciò che serve per riconoscerne l’utilità individuale e pubblica insieme. Il percorso 2023 di Emilio Casalini spiazza anche i suoi abituali compagni di viaggio partendo dalle ragioni scientifiche del suo racconto: chimica della bellezza. Ci spiega, ad esempio, il cortisolo – tossina dello stress – e di come possiamo prevenirne la formazione nutrendoci di arte e di cultura. Ci parla poi di misurazione delle emozioni buone indicando gli sguardi e le posture più capaci di materializzarle dentro di noi, dal cervello a tutto il corpo. “Ghiandole, sfide fra ormoni, benessere”: dopo avere ascoltato le raccomandazioni del prof. Enzo Grossi sugli effetti della bellezza vorremmo tutti cadere per terra, grazie alla sindrome di Stendhal, per averne goduto in eccesso. Ci convince che l’Italia può essere ovunque fabbrica di questo rischio e, rimbalzando dall’eredità di Franco Maria Ricci a Fontanellato alla rigenerazione urbana di Caltanissetta, si può anche dire fabbrica democratica e popolare.

UNA NASCITA INTENZIONALE E VOLONTARIA

Non si può proseguire il cammino senza l’intenzione di farne tempo di riconoscimento di un’anima, risveglio della mente e rinascita di tutto il corpo. Il racconto ce ne mostra gli spazi e come renderlo possibile perché, diversamente, saremmo sovrastati da questa rivelazione fino all’annichilimento. Al conoscere che la nostra struttura celebrale si forma quasi completamente, nella radice individuale soggettiva, nei primi mille giorni di vita – scopriamo anche questo – l’appello diventa quello del nascere, nuovamente e volontariamente. Era stata Maria Lai, artista nuorese, a rivelare che “gli uomini e le donne hanno perso il paradiso terrestre perché non ci sono stati da bambini, non ci hanno giocato abbastanza” e, proprio dal gioco di strada, i suoi conterranei di PlayAlghero puntano alla nascita di una città nuova dentro a quella vecchia. Ognuno di noi – forse anche il nostro Paese – si deve “mettere in gioco” e mai avremmo pensato che l’appello fosse letterale. Abbiamo mille giorni – non uno di più ma molti a disposizione – per darci una nuova “corteccia culturale” e vi riusciremo a condizione che siano come i primi mai vissuti.

IL GIOCO SEMPLICE E FAVOLOSO DELLA TERRA E DELLA SUA UMANITÀ

La semplicità spaziale e sociale di questa trasformazione lascia sbigottiti e alimenta un nuovo nome della speranza: possibilità. Possibilità comune e diffusa di cambiamento. Tutte le storie che Generazione Bellezza ci porta a conoscere – in luoghi impensabili come i Quartieri Spagnoli di Napoli – partono da intuizioni semplici e gesti elementari. La loro grandezza è nella visione e nel sogno che ridà senso a elementi sociali e urbanistici che nel tempo si sono fermati e abbruttiti. Riprendono la loro vita naturale: un portone riaperto per poterlo nuovamente attraversare; una scuola che torna a insegnare; un muro affrescato dalla gente; una parola che diventa ancora conversazione e attesa; suoni che diventano musica perché fatti insieme. Questa applicazione non ha barriere geografiche, strutturali o funzionali. Emilio Casalini ci porta ovunque a vedere gli effetti del suo innesco: in un rione come in un bosco, in un ospedale pediatrico come in un campo di mais.

La bellezza offre il meglio di sé quando è prodotto comune e relazionale; la cultura quando è narrazione dei viventi, capace di trasformare le persone in biografie e, insieme, farne comunità. Non è rappresentabile la gente che non è più capace o invitata a rappresentarsi e mettersi in scena; non si può pretendere partecipazione da chi non ha percezione del suo ruolo sociale e non ne sente il riconoscimento. La scoperta di Generazione Bellezza è immensa quando eleva persone e storie comuni a questo protagonismo, tenendo insieme ciò che sguardi disciplinati ed elitari tendono a dividere. Qui il Mosè di Michelangelo è celebrato per la stessa bellezza e gli stessi effetti di artigiani pasticceri e insegnanti innamorate. Si disegna un rito quotidiano di corteggiamento collettivo che faccia innamorare follemente gli uni degli altri. Andiamo a rileggere da qui Danilo Dolci quando scriveva che “nessuno cresce se non sognato”. Non è un caso che i bambini siano sempre protagonisti attivi dei venti casi presentati e sembra addirittura che tutti e tutto siano perché per loro.

UN ESERCIZIO, LENTO E TENACE DI AFFIDAMENTO AL BENE. SI PUÒ SCEGLIERE

Attraversati lentamente, ogni storia e ogni luogo appaiono più chiaramente incubatori di comunità. Nessuna delle immagini raccolte sarebbe stata possibile e credibile – quindi interessante – se non pregna di abitanza, relazione, desiderio e trasformazione, elementi di un gioco contemporaneo di apprendimento comune. Così, ad esempio, la mensa scolastica di Sesto Fiorentino diventa luogo per crescere insieme cultura e conoscenza utile. Una filiera comunitaria consapevole che usa e attraversa tutti: dal produttore agricolo locale al bambino che si nutrirà dei suoi prodotti e, in mezzo, i contadini, i trasportatori, i cuochi, gli insegnanti, i genitori, il sindaco e tanti altri che potremmo aggiungere oppure invitare a parteciparla. Da qui a Novara, dove lo stesso processo di trasformazione ha messo mano a vecchie caserme per nuove filiere di civismo, solidarietà ed educazione. “Si può scegliere” è la didascalia costante di ogni puntata di Generazione Bellezza e in questi casi professionisti, cittadini e amministratori pubblici lo hanno fatto.

Non è lento solo il cammino di osservazione di queste esperienze, deve esserlo – tenace e paziente, di affidamento – anche il processo della loro costruzione. Nessun master plan e nessuna clamorosità, soprattutto nessun eroe, tanto meno super. Ciò che viene presentato da Generazione Bellezza è il frutto di sognigesto (un’unica parola composta), un fare concreto piccolo e generativo, di contaminazione progressiva. “Ognuno di essi – dice Casalini nel racconto – ne produce e ne consente altri”. Non è cambiamento dal basso ma intraprendenza dal di dentro, processi di abilitazione reciproca, economie della gratitudine. Un ritmo che potremmo musicare per farne la colonna sonora della quotidianità e produrne un’eco che la diffonda: io-noi-tutti, tutti-io-noi, noi-io-tutti. Sono grati, più che felici, i volti che ne sono pervasi. Lo riconosciamo nei cheesmakers visionari che Emilio Casalini scova ad abitare e dare vita nella Foresta Mercadante in Puglia.

Questo ritmo, fa della comunità – quando organismo vivente – custode e regolatore dei patrimoni territoriali, così nuovamente suoi, in una prospettiva sovragenerazionale. A Sciacca questo corpo è appena nato ma mostra già la staminalità della prima cellula generata dai creatori del Museo dei 5 Sensi: la possibilità di farne modello e replica di nascita territoriale è concreta e presente. Cellule staminali. A Fiemme la Magnifica Comunità è istituzione comunitaria insuperata dal 1111 d.C. e già da allora dimostrava come i territori possono dialogare con i poteri globali del mondo (dagli imperatori del tempo ai mercati globali di oggi) se li affrontano come popolazione abitante, istituzione coesa attorno a un valore/progetto. L’insegnamento che Generazione Bellezza ci propone, di regione in regione, non è mai conservativo o tradizionale ma rivela quanto patrimonio genetico buono abbiamo fra le mani ed è necessario considerare per le trasformazioni che ci attendono. Quello dei frutteti conservativi umbri è già nuova economia e in Calabria è dall’archeologia del mare che si produce innovazione turistica. Che la tradizione è solo strumento per la trasformazione si legge anche dalle biografie che ne sono protagoniste. Sempre più spesso sono di ritorno o d’arrivo e sono sempre capaci di nascere con la comunità che hanno adottato perché la loro ispirazione è globale e sconfinata.

METAVERSI ANALOGICI: PATRIMONI UNICI E MERAVIGLIOSI PERCHÉ GENERATIVI

Che la bellezza esige questa dimensione di grandezza Generazione Bellezza lo impara con noi immergendosi, in Veneto, nella piscina più profonda del mondo. Tiene insieme scienza, tecnica, economia, territorio, sport e medicina oltre a persone provenienti già da 96 paesi del mondo. Ugualmente, con gli stessi esiti prodigiosi, pedalando l’Eroica fra le colline senesi. Genialità del possibile come quelle che hanno ispirato l’infrastrutturazione dell’Appennino bolognese per i bikers, la trasformazione di un campo di mais romagnolo in un’arena labirinto di gioco e la nascita, in Tuscia, di borghi delle favole e fantasmi: attraggono sogni e regalano uno spazio/tempo di metaverso analogico per realizzarli.

Il reagente per questa produzione creativa è l’implicazione biografica dei suoi “inventori” con un territorio e ciò che resta del suo essere materiale e immateriale. È il desiderio di potersi dire di un luogo per chi ci è nato o per chi ha bisogno di farlo. È la visione contemporanea della “Coscienza dei luoghi” che Giacomo Becattini riconosceva distintivamente nei nostri territori interni. Patrimoni “unici e meravigliosi”, come Casalini dice addirittura della vite più alta del mondo, “nascosta” in Campania, più per quello che generano dentro e attorno che per la loro particolarità estetica. Niente e nessuno è bello da solo e per i soli suoi fini. La bellezza merita celebrazione solo per la vita che consente.

QUELLO CHE GENERAZIONE BELLEZZA NON DICE

C’è forse qualcosa che Generazione Bellezza ci nasconde? Una provocazione che dobbiamo al programma come alla lettura che se ne propone qui. Il suo esercizio – e conseguentemente il nostro – potrebbe apparire celebrativo fino all’anestesia della critica per “tutto quello che non va” e che sappiamo essere ancora tanto, in tutti i territori. Non è così. Il programma dichiara il suo intento e lo propone come metodo di cambiamento: non nasconde e non inibisce critiche sui limiti di sistema, sui gap infrastrutturali e sui deficit culturali che permangono nei contesti locali. Sceglie – perché si può scegliere – di raccontarne il bene e quella parte che un cambiamento – sempre provvisorio, mai definitivo – l’ha prodotto. Crediamo, anzi, che questa scelta narrativa e di capitalizzazione culturale è provocazione più sofisticata ed efficace su “tutto quello che non va”. Comunica infatti l’urgenza di dover fissare, modellizzare e diffondere ogni controintuività positiva, portandoci a vederne l’efficacia. Ci mette anche sulle tracce, per ognuno dei venti casi raccontati, di cosa c’era prima delle telecamere e di cosa resta quando si spengono. Del prima intendiamo la fatica, il rischio, le paure, le cadute: in queste storie hanno trovato una tenacia che risolve, invece di rimuovere, quando immancabilmente necessario, perché intraprendente. Ciò che resta e consente continuità e sviluppo è capacità e competenza. Non c’è conversazione fra Emilio Casalini e i protagonisti che di questi non riveli una conoscenza profonda sui contenuti coinvolti (che sia la produzione del formaggio, la logistica delle mense collettive, le aspettative di un biker o altro) e la progettazione puntuale dei loro processi applicativi per lo sviluppo territoriale. Potremmo addirittura ricostruire a ritroso – ascoltandoli – alcuni requisiti dell’approccio metodologico rigoroso che li accomuna. Fra questi, con modalità diverse e professionalmente atipiche, riconosciamo un’analisi del contesto, una valutazione del mercato di riferimento e dell’appropriatezza delle risorse individuate, l’organizzazione multiattoriale del processo fino alla costruzione intenzionale di una nuova “filiera produttiva”, una distintiva innovatività della proposta, con riguardo sia alla tradizione e alle funzioni dei luoghi, sia all’offerta nei mercati di riferimento.

LA NARRAZIONE CHE SI RENDE PARTE E DÀ VITA

Procediamo da qui a una seconda e conclusiva domanda. Cosa abbiamo visto sugli schermi e di cosa abbiamo parlato qui? Di Generazione Bellezza o dei suoi protagonisti? Il dubbio sorge a me, che ho visto e scrivo, perché dovrebbe sorgere in tutti di fronte a questo racconto. Abbiamo già impregnato l’uno degli altri, narratore e narrati. “Un’opera narrativa – abbiamo detto sopra – che ha dato vita ai suoi protagonisti”. In molti si saranno tenuti fino a qui un’osservazione critica su questo passaggio e forse anche gli stessi autori del programma: le vite – diremmo – preesistevano all’arrivo delle telecamere della RAI che si sono limitate a riprenderle e rappresentarle. È proprio così? Come “ogni storia vive del suo racconto” (lo diceva Karen Blixen) queste hanno vissuto della narrazione di Generazione Bellezza e tanto più, nella nostra epoca, la narrazione di un fatto è sua parte e sua vita. Sarà bene-dicente e bene-volente oppure male. Sarà spazio e tempo di utilizzo strumentale del fatto (e delle sue vite), per fini altri e non pertinenti – addirittura divergenti –, oppure sua estensione di chiave e potenziamento realizzativo. Occorre distinguere un racconto dall’altro e anche la scelta di vedere e diffondere l’uno o l’altro ci rende protagonisti di impatti diversi, di nascita o di morte. Generazione Bellezza è nascita, bene, chiave e potenza; è la narrazione necessaria per la superumanità che agogniamo. Un cammino che guarda a questo orizzonte.

In ascolto delle tante conversazioni intrattenute da Emilio Casalini la memoria torna allora a quella che ha rivelato il dialogo fra Franco Maria Ricci e Jorge Luis Borges. “Farò a Fontanellato – disse il primo – il labirinto più grande del mondo”. “Impossibile – rispose lui sorridendo -, il labirinto più grande del mondo esiste già. È il deserto!”. Se il deserto è per sempre il labirinto più grande del mondo – sembra indicare Borges – l’uomo stesso sarà per sempre la più grande destinazione, l’unica via di uscita che possiamo cercare. Proprio quella che cerca, camminando, Generazione Bellezza.

ABSTRACT

“Generazione Bellezza,” the tv-show written and hosted by Emilio Casalini for RAI3, inaugurated the 2023 edition by presenting us with twenty productive Italian cases of territorial beauty. Each of them is triggered by personal dreams that have become collective and transformative of traditional local heritages. A case of participatory storytelling: it becomes part of the storyteller’s mission and increases the value of change. Thus, we are not in front of a television fact, that could be criticized for its format and communication style, but a political, social, and economic fact that indicates, together with its protagonists, an option for the development of our country in the European and international context.

 

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Giovanni Teneggi

Giovanni Teneggi cura lo sviluppo di cooperative di comunità per Confcooperative. Dal 2005 la sua attività di ricerca, narrativa e consulenziale è dedicata alla costruzione sociale ed economica della comunità. Ha avuto ruoli manageriali in enti sindacali, del terzo settore e organismi pubblici. Ha partecipato a pubblicazioni collettive su questi temi edite da Donzelli, Il Mulino, FrancoAngeli, LetteraVentidue e FBKPress. Abita e vive con la sua famiglia l’Appennino Tosco Emiliano dove è nato.

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