
“Ho letto la replica inviata a Treccani da Antonio Tarasco, capo dell’Ufficio legislativo del Ministero della Cultura, in relazione al mio articolo ‘Il (caro) prezzo da pagare per le immagini dei beni culturali’ (Atlante, 15 maggio 2023). Senza ricorrere ai toni utilizzati in quel testo, dove vengono definite ‘false e faziose’ le notizie da me fornite ed è messa così in dubbio la mia professionalità, ci tengo a sottolineare che i medesimi rilievi sono nella sostanza condivisi da centinaia di accademici e studiosi, che hanno sottoscritto un comune appello contro il D.M. n. 161/11 aprile 2023 firmato dal ministro Gennaro Sangiuliano. Sono condivisi anche dai professori universitari citati nel mio testo, gli storici Alessandro Barbero, Francesco Panarelli (presidente della Sismed) e Chiara Piva (direttivo della Cunsta). Concordano con quei rilievi pure quasi 6.000 persone che hanno già firmato on-line una petizione, ancora in corso, contestando il decreto. Vista la generale levata di scudi, mi sembra lecito sostenere che il provvedimento sia stato scritto in modo tale da suscitare dubbi, allarmi e perplessità”. Questa la controreplica con la quale il giornalista del magazine della Treccani ‘Atlante’ Marco Brando risponde ad Antonio Tarasco, capo dell’Ufficio legislativo del Ministero della cultura.
“Fatte queste premesse, ritengo utile rispondere alle obiezioni del dottor Tarasco: 1) È incontrovertibile che il decreto introduca per la prima volta tariffe che prima non erano previste. Il ministero, infatti, nel 1994 aveva reso gratuita la pubblicazione di immagini di beni culturali statali in tutti i periodici scientifici e nelle monografie di tiratura inferiore a 2.000 copie e con prezzo sotto le 150.000 lire (70 euro). Un principio sopravvissuto in tutte le biblioteche e gli archivi dello Stato e in numerose soprintendenze e musei fino al D.M. 161/2023, che ha sottoposto a tariffa tutte le pubblicazioni editoriali in commercio dalle trecento copie di tiratura in su. 2) Per quel che riguarda il Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale (PND) 2002-23, questo, come si legge proprio sul sito del Ministero della cultura in data 22 luglio 2022, ‘costituisce la visione strategica con la quale il Ministero intende promuovere e organizzare il processo di trasformazione digitale nel quinquennio 2022-2026’. Non compete a me giudicarne la legittimità o meno rispetto al Codice dei beni culturali. Mi limito a sottolineare ciò che afferma uno degli allegati al PND, (Linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale): l’editoria (anche non scientifica) dovrebbe essere esentata dal pagamento del canone, salvo eventuali eccezioni”.
“3) È vero, come scrive Tarasco, che ‘non c’è proprio nulla di scandaloso’ se l’Amministrazione ‘ha razionalizzato e messo ordine all’interno di prassi disomogenee e confuse’. Però questo obiettivo è già tra quelli del PND, piano totalmente ignorato dal nuovo tariffario. 4) Tarasco poi scrive che sono sbagliati i conti da me eseguiti sui nuovi costi a carico di uno studioso che sarebbero determinati dal D.M. 161/2023. Potrei anche essermi leggermente sbagliato, tanto più che la procedura ora prevista è, a dir poco, cavillosa. Confermo però l’onerosità del pagamento richiesto. 5) Tarasco cita i Musei Vaticani, il British Museum e le loro tariffe come esempi; lo fa in rapporto ai rimborsi per la fornitura di riproduzioni, su cui peraltro non mi esprimo nell’articolo. Potrebbero però allo stesso modo essere presi come riferimento gli Archives nationales francesi, i Musei comunali parigini, il Rijksmuseum, la Biblioteca nazionale di Spagna e, in Italia, la Fondazione Museo Egizio di Torino (che amministra beni di proprietà del ministero), più una miriade di altri istituti che nel mondo mettono a disposizione del pubblico le digitalizzazioni ad alta risoluzione delle opere, in modo da permetterne il riuso più libero: per qualunque scopo, anche commerciale. 6) Infine, non è affatto sicuro che mantenere la gratuità delle immagini abbia ‘ripercussioni negative sulla finanza pubblica’. Gestire le nuove procedure e tariffe previste dal tariffario comporterà oneri burocratici non indifferenti per gli stessi istituti, già in difficoltà a causa delle notevoli carenze di organici. La stessa Corte dei conti (Delibera n. 50/2022/G) ha rilevato che, in molti casi, ‘il rapporto tra costi sostenuti per la gestione del servizio di riscossione e le entrate effettive generate è a saldo negativo'”.