
“Non ha senso pensare a uno sviluppo del digitale all’interno del mondo della cultura se attorno ai tavoli non mettiamo insieme non solo i professionisti della cultura, ma anche pensatori, intellettuali, imprese che le tecnologie le realizzano e le producono. Solo così si può creare un match di valore tra le progettualità innovative e i fabbisogni”. Lo ha detto Emanuela Totaro, Segretario Generale della Fondazione Kainòn, che insieme a Lubec ha organizzato il panel “Musei del futuro. Un confronto internazionale sulle strategie culturali, fra tradizione e linguaggi contemporanei”. L’incontro si interroga su quale ruolo e quali politiche deve mettere in campo il Museo del futuro. E con quali necessità e opportunità di cui il nuovo sistema di produzione creativa è portatore, il Museo deve confrontarsi. Infatti, percorsi interconnessi e potenzialmente illimitati consentono alle persone di scegliere le esperienze e di rielaborarle secondo prospettive personali.
Secondo Totaro, era necessario affrontare questo tema perché “se dobbiamo immaginare il museo come luogo al servizio della società, è evidente che sia chiamato a porsi come spazio permeabile alle trasformazioni che il digitale, l’immersività, il virtuale e il metaverso determinano sui musei del futuro. E se ancora dobbiamo immaginare il museo come luogo in cui si facilita la partecipazione delle comunità, il museo si deve chiedere a che tipo di comunità rivolgersi, comunità che saranno sempre più digitali portando a rivedere modelli di apprendimento e di produzione e diffusione della conoscenza”.
La Fondazione Kainòn, ha ricordato il suo Segretario Generale, è un’organizzazione relativamente giovane, nata con “l’obiettivo di creare ponti tra il mondo della cultura, della tecnologia e del digitale, mondi che non si parlano in tavoli comuni e che fanno fatica ad adottare un glossario condiviso”. La volontà di organizzare questo panel insieme al Lubec nasce poi “dalla comunanza di visione che vede nell’innovazione attraverso il digitale un fattore abilitante di sviluppo, non uno scopo, ma uno strumento che però ha senso solo se viene inserito in una visione integrata della catena del valore, con un ecosistema ampio”.