“L’archivio di Trento Longaretti è un patrimonio culturale, una storia che nasce dal riconoscimento della traccia documentale e materiale della sua vita, della sua attività e del suo processo creativo, della capacità di costruire relazioni con il contesto in cui ha vissuto e per il quale ha lavorato”. Lo ha detto Annalisa Rossi, Soprintendente archivi e biblioteche della Lombardia, del Veneto e del Trentino Alto Adige, in occasione della presentazione dell’azione di tutela intrapresa sul compendio dell’artista Trento Longaretti scomparso nel 2017, dichiarato di interesse storico particolarmente importante dalla Soprintendenza archivistica e bibliografica della Lombardia, presso la sede dell’Associazione Longaretti, già studio dell’artista in via Borgo Canale 23 Bergamo Alta. “Questo luogo – ha ricordato il Soprintendente -, non è solo contenitore ma è significante e significato esso stesso del processo creativo e dell’universo, concettuale e culturale, di riferimento di Trento Longaretti. Ogni archivio è la traccia materiale, fisica e documentale, della vita e dell’attività del suo soggetto produttore. Necessario e certo, esso non si dà per offrirsi al futuro come diaframma fuori dal tempo che consente il dialogo fra ciò che non è più e ciò che è ancora o sarà: un archivio è la traccia materiale che del tempo testimonia il transito, covando nella sua natura reticolare un potenziale eversivo e sovversivo della verità, che si offre a riscrivere ogni volta che lo si interroghi con una domanda diversa”.
Un archivio d’artista è tutto questo, ha spiegato Annalisa Rossi, con, in più, “la denotazione di ogni archivio personale, frutto delle abitudini e delle dimenticanze, o anche delle ossessioni, di chi lo ha prodotto, e la connotazione del processo creativo caratterizzante il tempo di chi lo ha prodotto. La storia dell’arte, la critica d’arte, le medesime pratiche della ricerca e curatoriali, almeno da un decennio a questa parte, si nutrono ormai dell’archivio d’artista come del significante supremo, determinante, in modo quasi autoevidente, il percorso creativo e produttivo, nella sua leggibilità e producibilità: numerosi esempi possono essere richiamati a riprova della febbre d’archivio che pungola le scelte curatoriali espositive e anche le politiche di acquisizione degli istituti museali, da ultimo concentrati a fare incetta di archivi quasi più che di opere”.
A differenza delle opere d’arte, che dal processo creativo ivi testimoniato si sono generate, l’archivio non si dà per essere esposto né per offrirsi a letture selettive e preorientate da dispositivi narrativi che ne superfetano le direttive di significato. Esso esiste. Esso, nel caso di Trento Longaretti, permane nella sua natura complessa di lascito complesso e composito, di universo significante in cui le diverse tipologie di ‘documenti’ e i relativi caratteri estrinseci, si intrecciano in una rete di relazioni che tessono trame inedite al suo interno e al suo esterno, con l’ambiente circostante, ancora segnato e autentico, che avvolge per assumerne la forma, come un abito sartoriale cucito sul corpo a cui è destinato. La possibilità, oggi, di entrare in relazione con l’archivio di Trento Longaretti in questo luogo si qualifica come superamento della logica dell’archivio esposto, caro all’arte contemporanea e alla storia che di essa, da esso, si dipana, nell’atto stesso di esporsi, grazie all’atto definitorio e di messa in valore che la notifica di interesse culturale costituisce, al rischio di una continua e costante interrogazione, a riprova del fatto che la storia dell’arte è plurale quanto plurali sono le relazioni fra le figure dell’arte”.