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"È falso che studiosi, accademici, studenti, ricercatori debbano pagare per la semplice divulgazione su riviste scientifiche di immagini da musei, biblioteche e archivi statali, mentre prima ne sarebbero stati esentati"

“L’uso delle immagini dei beni culturali resta sempre libero quando è effettuato per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale. È quanto è scritto sia nel Codice dei beni culturali e del paesaggio che nelle Linee guida del Ministero della cultura dell’11 aprile 2023”. Lo afferma Antonio Tarasco, Capo dell’Ufficio legislativo del Ministero della Cultura, in una lettera indirizzata al direttore della rivista “Atlante” della Treccani, replicando all’articolo “Il (caro) prezzo da pagare per le immagini dei beni culturali”, pubblicato il 15 maggio. “Sono false e faziose le notizie contenute nell’articolo – sottolinea Tarasco – È anzitutto falso che studiosi, accademici, studenti, ricercatori debbano pagare per la semplice divulgazione su riviste scientifiche di immagini da musei, biblioteche e archivi statali, mentre prima ne sarebbero stati esentati. La legge, infatti, non è mai cambiata”. “La stessa legge (il Codice risale a 19 anni fa) prescrive, invece, il pagamento del canone ove le stesse attività siano svolte per ‘scopo di lucro’. E in tal caso, come sempre, a pagare sono le case editrici che, probabilmente, da un’abrogazione degli articoli 107 e 108 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, avrebbero tutto da guadagnare. Un tesista – afferma il Capo dell’Ufficio legislativo del Ministero della Cultura – nulla deve all’Amministrazione statale e allo stesso modo una rivista o un volume già pubblicato in modalità open access, cioè senza distribuzione commerciale, resta libero di essere diffuso. E ciò proprio per agevolare lo studio e la ricerca scientifica. Il c.d. Tariffario non fa altro che applicare la legge; non è una scelta libera e discrezionale del Ministero della cultura, ma un preciso adempimento prescritto dalla normativa che impone ad ogni Amministrazione pubblica di fissare ‘gli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per l’uso e la riproduzione dei beni culturali’. Non è un caso che ad adottare il tariffario sia stato non solo il Ministero della cultura ma anche il Fondo edifici del culto del Ministero dell’interno”.

“L’Amministrazione non può violare la legge ma limitarsi ad applicarla – ribadisce Tarasco -. Per questo stupisce come si possa sostenere che un documento pubblicato, sotto il precedente Governo, da un Ufficio ministeriale (Digital Library), avesse ‘reso gratuita la pubblicazione delle immagini di beni culturali statali in qualsiasi pubblicazione editoriale, anche non scientifica’. Come può il documento di un ufficio ministeriale violare la legge, che mai è cambiata? Il Piano nazionale per la digitalizzazione ha espresso meri auspici che, in molti punti, contraddicono gli articoli 107 e 108 del nostro Codice dei beni culturali e del paesaggio. E non c’è proprio nulla di scandaloso se l’Amministrazione abbia razionalizzato e messo ordine all’interno di prassi disomogenee e confuse. Sbagliati sono anche i calcoli. I canoni individuati sono bassissimi rispetto al panorama internazionale. Si pensi, ad esempio, che mentre nel c.d. tariffario ministeriale 2023 l’immagine digitale costa dai 5 ai 12 euro, la stessa immagine ai Musei vaticani viene venduta dai 10 ai 50 euro mentre al British museum dai 50 ai 75 euro. Analogamente, una stampa fotografica 13×18 costa, al minimo, presso il Ministero della cultura, € 2 mentre la stessa viene venduta € 7 dai Musei vaticani. Si tratta di tariffari pubblici contro i quali non si assiste da parte di studiosi e associazioni ad analoghe critiche e proteste rispetto a quelle riservate al provvedimento dell’11 aprile 2023. Il che conferma che si tratta di prassi consolidate. Mentre invece si pretenderebbe la gratuità solo da parte dello Stato, con ripercussioni negative non solo sulla finanza pubblica ma anche sulle risorse necessarie a sostenere il nostro patrimonio culturale”.

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