
LA FENOMENOLOGIA MEDIATICA DI METAVERSO E NFT
Mark Zuckerberg, fondatore e CEO di Facebook e proprietario di Instagram e Whatsapp, annuncia il cambio del nome della società che guida nel più evocativo ‘Meta’, e contestualmente racconta del lancio del Metaverso, un “luogo” digitale dove l’utente può svolgere praticamente una vita parallela a quella analogica, mediante un suo avatar, una rappresentazione virtuale dell’identità che consente di interagire con altri soggetti, compiere azioni e viverne le conseguenze. L’orizzonte temporale relativo alla realizzazione compiuta del disegno è stimato in 5-10 anni, ma solo averne parlato rende la prospettiva – almeno mediaticamente – reale ed attuale, con relativo dibattito diffuso che si allarga a macchia d’olio.
Il tutto accade verso la fine del 2021, anno che ha visto esplodere la fenomenologia degli NFT, i “Non Fungible Tokens”, una tecnologia che consente di “autenticare” i file digitali rendendoli unici, in virtù di una certificazione legata alla blockchain, altro termine spesso evocato ma quasi mai compreso nella sua interezza dagli utenti (come normale che sia, vista la complessità tecnica degli argomenti correlati).
Quando l’11 marzo l’artista digitale Beeple crea un’opera con la formula NFT a sancirne l’unicità e la mette in vendita all’asta, ottiene la strabiliante cifra di 69 milioni di dollari e si apre ufficialmente l’era di un nuovo mercato senza regole precise che sembra, però, consentire nuovamente la valorizzazione della proprietà intellettuale e della creatività artistica, restituendo prospettive reddituali plausibili al mondo dell’arte e della cultura e ai suoi professionisti. Se infatti la duplicazione delle produzioni creative ed artistiche non si può impedire in alcun modo, la possibilità di contrassegnarne unicità – e dunque eventuale proprietà – ne consente una commercializzazione che risponde ad una logica di valore omologa a quella collezionistica. Una modalità che restituisce una qualche forma di controllo ad autori, artisti e creativi, specie sulle possibilità di monetizzazione legate alle loro attività, decisamente ridotte dalla riproducibilità praticamente illimitata e senza freni delle opere e delle produzioni creative digitali.
Una breve registrazione della prima mostra NFT dell’Hermitage
La rivoluzione sismica del sistema viene poi sugellata, anche per i musei, dalla dichiarazione di Dmitry Ozerkov, Head of Contemporary Art del Museo dell’Hermitage che, in un’intervista a Cointelegraph, magazine internazionale dedicato alle criptovalute (e dunque anche agli NFT), prevede che tutti i musei apriranno una sede all’interno del metaverso utilizzando gli NFT, duplicando le loro collezioni in formato digitale certificato. Lo stesso Ozerkov ha già dato prova di assoluta competenza in materia, avendo curato “The Ethereal Aether”, la prima mostra NFT in assoluto del museo, con 38 opere NFT esposte nella sede virtuale del museo appositamente realizzata ed accessibile nel metaverso a novembre. Già a settembre inoltre aveva raccolto quasi 450.000 dollari vendendo cinque riproduzioni digitali dei suoi capolavori più famosi con la nuova formula. La Galleria Sotheby completa ulteriormente il quadro aprendo il proprio Metaverso, nel quale prende vita la vendita di opere specificamente concepite per questo nuovo ambiente virtuale.
LA CONNESSIONE TRA IL METAVERSO E GLI NFT… E I VIDEOGAME
Ma cosa c’entrano – concretamente – Metaverso ed NFT? Ebbene la risposta è in effetti abbastanza articolata, ma può riassumersi nell’idea che il metaverso sia un luogo nato per dare rilievo e mercato agli NFT, risorse digitali che hanno bisogno di un “campo da gioco” per essere valorizzate. Il metaverso consentirà alle persone di mostrare forme digitali di arte e proprietà e gli NFT consentiranno loro di dare un prezzo a quel contenuto grazie alla certificazione della loro unicità e proprietà.
Sebbene gli NFT utilizzino la stessa tecnologia blockchain utilizzata dalle criptovalute, non sono essi stessi un tipo di valuta. Ogni NFT (inteso come certificato, per così dire) è allegato a un articolo specifico. Quell’oggetto potrebbe essere un dipinto, il contenuto di un videogioco, un brano musicale o qualsiasi altra cosa che possa essere contrassegnata dal token – il gettone – virtuale. Anche le esperienze vissute in quel contesto, come ad esempio la visita virtuale ad un museo in una determinata occasione, può essere documentata in qualche modo e resa unica grazie ad un NFT, acquisendo anche un relativo valore che sarà poi legato al riscontro che il pubblico vorrà eventualmente riconoscerle. In parole povere, senza compratori non c’è un mercato, ma nel momento in cui iniziano ad esserci dei prodotti ed un canale di vendita, un potenziale mercato prende forma, ed è quanto accade oggi.
Se a qualcuno la cosa può sembrare assurda o cervellotica, a riportare nel novero dell’attualità e concretezza il discorso è un esempio già esistente e perfettamente funzionante di metaverso, quello dei videogame. Già, perché in effetti il modello dei videogiochi – o almeno di quelli più complessi e “globali” – prevede esattamente la medesima struttura. Un numero potenzialmente infinito di giocatori può accedervi creando un avatar, interagire con il contesto ed altri giocatori secondo le regole di ingaggio stabilite dalla piattaforma, e finanche acquistare elementi del gioco guadagnando punti-premio o spendendo denaro reale. Fenomeni globali come Fortnite e Roblox, piattaforme di gioco con centinaia di milioni di iscritti costituiscono ciascuno un metaverso, e consentono in questo senso un’ulteriore precisazione.
È improprio parlare al singolare del metaverso, dato che ciascuno può creare un proprio luogo digitale dove ospitare attività e scambi. La dichiarazione di Zuckerberg ricordata all’inizio dell’articolo è più che altro un auspicio aziendale, nel senso dell’augurio di poter traslare i miliardi di utenti delle sue piattaforme in un unico habitat, che possa diventare quindi – quantitativamente – l’omologo dei suoi social network, assurti a riferimento globale proprio perché frequentati virtualmente da buona parte della popolazione del pianeta.
LA DIFFICILE VITA NEL METAVERSO
La prima delle questioni da porsi dovrebbe essere – per l’appunto – a quale metaverso partecipare, o se creare in alternativa uno spazio proprio, ma l’efficacia si risolverebbe sempre nella capacità o meno di rendere visibili i propri canali digitali. Non troppo arduo per l’Hermitage, più complesso per altri operatori, come dimostra bene il traffico medio dei siti web del settore culturale, non particolarmente vivace, in genere, sia per mancanza di competenze specifiche che di risorse per pagarle.
Il senso profondo del metaverso è proprio quello della creazione di un mondo, di un sistema abbastanza ampio da ospitare una varietà di soggetti ed attività che riproduca un ambiente-habitat capace di offrire un coinvolgimento ampio e possibilmente variegato, e questa è la sfida principale per tutti gli operatori che ne progettano uno.
Il secondo punto dolente è quello della capacità produttiva di esperienze immersive di qualità, assolutamente non alla portata della maggior parte delle organizzazioni culturali, e ancor meno dei professionisti creativi. In effetti nella cognizione comune il termine ‘metaverso’ è strettamente legato alla dimensione dell’immersione totale nell’esperienza, alla realtà virtuale, anche se tecnicamente in realtà questa componente non è decisiva per la definizione. Al di là delle semantiche però è naturale che gli utenti – orientati in tal modo – finiscano per nutrire aspettative specifiche ed elevate in tal senso, e deluderle potrebbe portare a danni non solo reputazionali, con l’audience che trova il proprio spazio digitale immersivo d’elezione altrove, lasciandovisi assorbire quasi completamente. Anche in questo senso lo standard qualitativo dei videogame porta fuori strada molti, adusi ad esperienze virtuali avvolgenti per la cui realizzazione vengono stanziati spesso budget di centinaia di milioni di dollari.
La nota positiva è che con l’aumento della richiesta di realtà virtuale fioriranno piattaforme che consentiranno a tutti di accedere a questo tipo di tecnologia con costi contenuti, come già accaduto con le produzioni grafiche e video. Un primo esempio concreto è Galeryst, che consente agli artisti di creare una propria galleria d’arte virtuale, gratis entro il limite delle 80 opere da distribuire al massimo in due “ali” della struttura, e con formule a pagamento per “dimensioni” maggiori.
Per quanto concerne gli NFT poi, a mettere in serio dubbio le capacità effettive dei musei di sfruttarne in modo corretto e produttivo le potenzialità è uno studio riportato dal World Economic Forum, secondo il quale sulla questione incidono problemi rilevanti come la complessità tecnica dello strumento, oltre alla pericolosità finanziaria intrinseca di un’entità ancora molto poco conosciuta.
TIRANDO LE SOMME…
Al netto delle informazioni e delle considerazioni di cui sopra, da intendersi come assolutamente parziali e meramente indicative, a fronte di un quadro infinitamente complesso, la riflessione più importante da fare appare però legata a quello che gli utenti decideranno di fare di questi spazi virtuali che continuano e continueranno a proliferare.
La reale dimensione dei metaversi esistenti – eccetto i videogiochi, estremamente definiti – è per ora quella di scatole vuote, di contenitori e scenografie in cerca d’autore. Una condizione non dissimile da quella germinale di tutte le piattaforme social network, nate attorno ad un’idea di base – connessione tra amici (Facebook), confronto su argomenti di comune interesse (Twitter), documentazione visuale di momenti del vissuto personale (Instagram) – e poi evolute in ambienti digitali molto più complessi, proprio sulla scorta degli impulsi che le persone hanno trasmesso al loro interno. Avere la capacità di osservare, ascoltare e dialogare col pubblico rimane, ora e sempre, l’unica bussola per interpretare in maniera generativa e positiva la trasformazione digitale del settore culturale. E non solo.
ABSTRACT
Metaverse and NFT are on the rise on mainstream media, pointed as the new actual commercial and branding phenomenon in arts, fashion, music, non-profit and many others sectors. Millions of dollars spent by users for digital files made unique and verified by blockchain and the perspective of an immersive habitat built on virtual reality create high expectations in the audience and hope for new revenue models in cultural stakeholders and artists. A plausible perspective, needing a good knowledge of tools and mechanics of this new system. The article aims to describe the general landscape of main innovations and issues related to this new scenario.