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LETTURE LENTE - rubrica mensile di approfondimento
Un rapporto indaga quanto gli artisti contemporanei italiani sono visibili nel mercato internazionale. Il risultato? Bene ma non benissimo

Il periodo post pandemico ha portato alla ricerca di analisi e riflessioni in ogni campo. Non ne è esente il mondo dell’arte che ha visto il proliferare di indagini e rapporti che danno il senso di una ricerca di ‘svecchiamento’ di quello che, a dispetto della sua globale contemporaneità, rischia nel nostro Paese di rimanere un ‘piccolo mondo antico’.

In questo contesto si inseriscono due indagini complementari presentate in questi giorni.

(Piccolo spazio pubblicità: nella prima, lo dichiaro in partenza, ho un evidente conflitto di interessi come partner di BBS-Lombard, lo studio professionale che lo ha prodotto e sul cui sito è scaricabile gratuitamente oltre che essendone coautore con Silvia Anna Barrilà, Marilena Pirrelli, Maria Adelaide Marchesoni e Irene Sanesi).

“Quanto è (ri)conosciuta all’estero l’arte contemporanea italiana” è un corposo documento che si è avvalso del sostegno e della collaborazione di Arte Generali, Artprice e Articker/Phillips e che nasce dall’esigenza di una visione più ampia per comprendere più a fondo i limiti che incontrano l’arte e gli artisti italiani contemporanei nati dopo il 1960 nella diffusione delle proprie opere; il perché l’Italia sia ancora ai margini di una galassia che potrebbe, al contrario, vederla protagonista come snodo importante degli scambi culturali ed economici del settore. Non è un lavoro che punta a difendere il concetto di italianità, sia chiaro, ma di portare un contributo e degli spunti di riflessione verso una maggiore comprensione del comparto e uno strumento per gli attori coinvolti per fare rete.

Se parliamo di visibilità, se parliamo di attrattività verso gli stranieri, se davvero vogliamo immaginare l’arte e gli artisti italiani di oggi come parte di un sistema internazionale e globale allora è all’estero che dobbiamo guardare per confrontare e capire cosa funziona e cosa no, per migliorare e, perché no, copiare cosa di buono gli altri hanno fatto. Dopo gli anni 50-60-70 in cui i “soliti noti” tra cui Fontana, Burri e i protagonisti della stagione dell’Arte Povera hanno visto riconosciuto nei musei e sul mercato il proprio valore a livello internazionale, è sembrato aprirsi una parentesi più oscura che non ha saputo valorizzare i talenti, seppur presenti, degli artisti nati dopo il 1960.

Dai tempi dell’analisi “L’arte contemporanea italiana nel mondo” condotta nel 2005 da Pier Luigi Sacco, Walter Santagata e Michele Trimarchi per la Direzione Generale per l’architettura e l’arte contemporanee del Ministero della Cultura (ed. Skira, pubblicata da UniCredit, all’epoca player apripista in tema), non ci si è più curati molto di indagare sullo stato dell’arte e degli artisti italiani all’interno di un mercato che va ben oltre i confini nazionali e, ancor peggio, non ci si è più curati di investire con sistematicità sul contemporaneo. Un peccato mortale, direi. Un errore certificato anche dalle parole del ministro Franceschini alla presentazione del rapporto avvenuta a Roma a Palazzo Bonaparte lo scorso 24 marzo: “Inspiegabilmente negli ultimi 70 anni abbiamo investito molto poco nei talenti dell’arte contemporanea nonostante l’Italia abbia straordinari e formidabili maestri. Questo è stato un gravissimo errore perché la creatività italiana non è solo nel passato”. Un errore che ha le proprie radici in una concezione antistorica del patrimonio artistico e culturale come qualcosa di immobile e non qualcosa in continuo divenire.

Il report è partito dall’analisi qualitativa data da interviste a 24 curatori che da tempo promuovono l’arte italiana all’estero e che hanno puntualizzato le proprie riflessioni sulle lacune del sistema italiano dell’arte contemporanea. Quello che ne è emerso è, in primo luogo, la necessità di una regia che aiuti gli artisti italiani a creare le indispensabili reti e i rapporti con curatori, gallerie, musei e collezionisti internazionali.

La seconda parte del report è stata invece dedicata all’analisi dei dati e alla mappatura della presenza dell’arte italiana all’estero fino ad arrivare ai risultati emersi dall’intelligenza artificiale di Wondeur AI.

Da tutto questo risultano evidenti le potenzialità dell’arte italiana e ciò che non ha finora permesso la sua giusta valorizzazione. L’arte italiana è certamente più conosciuta all’estero per il suo passato che per il suo valore contemporaneo ma lavorare solo sul passato porta alla rarefazione dei nostri artisti in asta e alla loro riconoscibilità in generale, alla minore attrattività del mercato artistico nazionale e del suo indotto, a minori volumi d’affari per tutti i componenti della filiera a partire dagli artisti. E, in definitiva, anche a minori entrate per l’erario.

QUALCHE DATO

Alcuni risultati dell’indagine hanno evidenziato che:

  • le collezioni permanenti di 76 musei in 23 paesi dal 2000 registrano la presenza di 61 artisti italiani, di cui 51 della generazione che abbiamo esaminato;
  • nelle ultime 7 edizioni della Mostra Internazionale della Biennale di Venezia la presenza degli italiani è pari in media al 5% e sale al 12% nel 2022;
  • nelle ultime 8 edizioni di Documenta la presenza italiana oscilla dal 2 al 7%;
  • nelle ultime 3 edizioni di 18 biennali internazionali si registrano 54 presenze di artisti italiani, di cui 40 nati dopo il 1960;
  • su un universo di 831 gallerie internazionali il 16,2% rappresenta almeno un artista italiano, con una maggiore presenza negli Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Svizzera e Belgio;
  • alle Italian Sales degli ultimi 20 anni solo 10 artisti post 1960 sono stati presenti con la assoluta predominanza di Cattelan (81,33%), seguito da Vezzoli (12,51%);
  • i risultati d’asta dal 2000 a oggi, elaborati grazie alla collaborazione di Artprice, dicono che in 21 anni il turnover degli artisti del XX secolo italiani è aumentato del 142% rispetto al 161% dei francesi e al 473% dei tedeschi; risultati che però peggiorano per i nati dopo il 1960: italiani +234%, francesi + 9.214%, tedeschi +20.597%.

Le statistiche più impressionanti, poi, sono quelle che, ad esempio, raccontano come su 16.000 pubblicazioni online in 25 lingue, analizzate grazie alla collaborazione di Articker/Phillips, la copertura globale degli artisti nati dopo il 1960 crolla all’1,87% rispetto al 6,96% degli artisti italiani di ogni epoca. Il contributo degli italiani nati dopo il 1960 alla copertura mediatica complessiva nazionale è del 7% (contro 55% inglesi e 31% americani), il che significa che di noi si parla, basta non toccare il contemporaneo: ci salvano per lo più il Salvator Mundi di Leonardo (forse), Artemisia Gentileschi, Botticelli e, al massimo, la “banana” di Cattelan.

Anche in termini di fatturato non va meglio. Se, come in una specie di classifica cannonieri, mettiamo a confronto francesi, tedeschi e italiani, i primi 5 per fatturato di ogni Stato, troveremo 4 dei nostri in fondo alla classifica e il nostro centravanti, Cattelan e chi se no, al decimo posto giusto un gradino sopra l’ultimo degli altri. Un ribaltamento di posizioni avvenuto, soprattutto, negli ultimi anni e segno di come all’estero si sia lavorato meglio nel supporto alla contemporaneità artistica. E i risultati si vedono.

Dall’analisi dell’intelligenza artificiale emerge che le gallerie milanesi, quelle messe a confronto con altre città e che già esprimono l’eccellenza nostrana nel settore, hanno il tasso di successo più alto rispetto a New York, Berlino, Parigi e Los Angeles ma un indice di propensione al rischio più basso, risultando meno propensi a sostenere gli artisti emergenti. In Italia si investe andando sul sicuro, non creando un futuro possibile per i nuovi talenti mentre le gallerie estere, potendo scegliere, offrono una possibilità agli artisti maggiormente supportati finanziariamente dai propri stati e tra questi l’Italia certamente non brilla. Un cortocircuito che va interrotto.

E quindi? Se tanti sono i passi da fare di certo tre possono essere quelli da cui partire per dare il segnale di una svolta. Passi a cui il MiC è chiamato a dare il proprio sostegno e di certo non solo lui: servirà un lavoro di squadra in cui siano coinvolti anche altri ministeri come quello per le attività produttive (l’arte lo è a pieno titolo), quello degli esteri (necessario alla realizzazione di reti internazionali) e, primo inter pares, quello dell’economia di cui, giocoforza, servirà il sostegno pieno.

FARE RETE

Questo è il grido che si ripete come un mantra nelle parole dei curatori intervenuti nel rapporto.

“Quella delle interazioni è una questione importante anche ai fini della comprensione di fenomeni psicologici, sociali ed economici”. È partendo da questo concetto che Giorgio Parisi si è aggiudicato nel 2021 il premio Nobel per la fisica e a questo ci piace pensare di attenerci nella nostra indagine e nelle sue deduzioni. Il sistema delle relazioni è fondamentale in un mercato globale: la visibilità e la possibilità di far conoscere l’arte italiana all’estero così come quella di portare operatori e collezionisti stranieri in Italia sono un passaggio obbligato. Il lavoro degli Istituti Italiani di Cultura, ad esempio, è cruciale ma ciò che manca è una regia che coordini, definisca tempi e temi, che permetta agli artisti italiani di incontrare gli operatori stranieri e viceversa. Che, in definitiva, crei un tappeto di relazioni che permettano la conoscenza e che questo sia fatto in maniera sistematica e non affidandosi alle capacità, che pure ci sono, dei singoli responsabili. Senza dimenticare che per fare le cose, come sopra già detto, servono i finanziamenti, un sostegno organico ai nostri artisti.

UNA RIFORMA FISCALE

La questione fiscale, pur essendo questo un rapporto che arriva da uno studio di commercialisti e da esperti dell’economia dell’arte, non è al centro dell’indagine ma immaginare e attuare una seria riforma della fiscalità del settore è senza dubbio necessario. Possono le norme fiscali impattare con decisione su un mercato? Sì, possono e nel report ne sono indicate alcune. Un esempio su tutti che non completa il quadro ma spiega bene la situazione riguarda il regime delle importazioni delle opere d’arte in Italia e in Francia. Se fino allo scorso anno ci siamo sempre soffermati sulla differenza di aliquota IVA a noi sfavorevole (10% contro il 5,5%) che di per sé già bastava a capire lo svantaggio competitivo nell’operare in Italia, dal 1° gennaio si è aggiunta pure la possibilità per le imprese con partita iva francese e, attenzione attenzione, anche per gli operatori stranieri che eleggono un rappresentante fiscale francese, di differire il pagamento dell’IVA in dogana e poterla successivamente compensare con il corrispondente credito. Questo rende l’operazione finanziariamente neutra mentre in Italia chi importa è sottoposto a un esborso finanziario spesso di peso non indifferente. Detto questo anche voi vi starete chiedendo perché mai una persona non affetta da masochismo dovrebbe importare in Italia? E questo, infine, non si traduce in un danno per l’erario?

RICONOSCERE LE PROFESSIONI

In questo quadro vogliamo citare una indagine realizzata da AWI Art Workers Italia sulle condizioni lavorative dei professionisti dell’arte dal punto di vista sociale, contrattuale e giuridico e più volte richiamata nello studio sopra citato. I lavoratori dell’arte svolgono una attività con peculiarità ben definite. Fare finta che queste non esistano è un grave fattore di sottosviluppo che non permette una libera espressività degli artisti soprattutto di quelli più giovani e una libera circolazione delle idee e della loro arte. Il lavoro che AWI sta da un paio di anni portando avanti sulla riconoscibilità giuridica, fiscale, contributiva, sull’equiparazione delle lotte degli artisti dello spettacolo con quelle degli artisti visivi, dei curatori e di chi di arte vive è importante e necessita attenzione. Anche qualcosa di più.

ABSTRACT

An independent study investigates the visibility of contemporary Italian art at an international level by analyzing the functioning of the support system for contemporary artistic production in our country. There are few names of Italian artists on which international attention is concentrated. Beyond the essential artistic quality of the work, an element that contributes to the visibility of the artist is the study and professional experience abroad, which allows for the creation of a network of international relationships with curators, galleries and museums. The results highlight the lack of a shared strategy that creates a network abroad and that attracts foreigners to invest in our country.

 

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Franco Broccardi

Franco Broccardi

Dottore commercialista, partner BBS-Lombard. Esperto in economia della cultura, arts management e gestione e organizzazione delle imprese culturali. Ricopre incarichi come consulente e revisore per ANGAMC, AWI, Federculture, ICOM, oltre che per musei, teatri, gallerie d’arte, fondazioni e associazioni culturali. È coordinatore del gruppo di lavoro "Economia e cultura" presso il CNDCEC.

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