Sta per essere pubblicata una nuova ricerca della Fondazione Scuola dei Beni e delle attività culturali, condotta insieme al Servizio VI del Segretariato generale del ministero della Cultura e a PTSclas, che accende i riflettori sulle dieci capitali italiane della cultura dal 2015 al 2022. Lo studio analizza gli effetti che l’iniziativa ha avuto sulle città che si sono aggiudicate il titolo e per lavorare al contempo sulla messa a punto di un modello specifico di valutazione dell’iniziativa del MiC. Presentato nel corso di ArtLab 2023 a Bari, si concentra sulle città di Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna, Siena (tutte e cinque nel 2015), Mantova (2016), Pistoia (2017), Palermo (2018), Parma (2020-21) e Procida (2022).
LA FONDAZIONE SCUOLA DEI BENI E DELLE ATTIVITA’ CULTURALI
L’obiettivo di questo studio è, dunque, offrire un’analisi critica sui modelli per il monitoraggio e la valutazione ex post e in itinere dell’iniziativa e, più in generale, delle attività culturali e offrire linee guida alle prossime capitali della cultura e agli operatori del settore. “In questi anni molte città si sono candidate e ora abbiamo uno storico su cui fare delle valutazioni sulla bontà della policy e sulla legacy che ha lasciato sui territori che hanno vinto la competizione”, spiega ad AgenziaCULT, Francesca Neri, responsabile supporto all’innovazione e progetti complessi della Fondazione. “Abbiamo scelto degli ambiti specifici per valutare effettivamente che cosa è successo: vivacità culturale (eventi), la partecipazione, l’attrattività turistico-culturale, le industrie creative e la governance cioè in che modo la Capitale italiana della Cultura ha inciso sulla gestione della cultura nelle città che hanno vinto il titolo”.
PTSCLAS
La ricerca, sottolinea ad AgenziaCULT Angela Tibaldi, vicepresidente di PTSclas partner del progetto, rappresenta “il primo studio di una policy complessa che ha riguardato diversi territori del nostro Paese e che ha richiesto uno sforzo ingente anche in termini di ascolto e partecipazione dei nostri interlocutori. La ricerca si basa infatti su diversi pilastri: una parte di analisi desk e quindi di ricerca dati quantitativi accanto a un’analisi field realizzata grazie alla partecipazione e al coinvolgimento di interlocutori territoriali che ci ha consentito di ascoltare oltre 1200 persone. Il risultato è quindi un’analisi di massima di quello che è accaduto nelle diverse realtà e nelle diverse esperienze”.
LA RICERCA
Nei mesi di lavoro lo studio ha indagato specifici ambiti di valutazione, con interviste, questionari e focus group. Si è ascoltata la voce e il punto di vista di project manager, referenti delle amministrazioni comunali, policy maker, rappresentati delle industrie culturali e creative, esponenti della società civile e cittadini dei dieci comuni insigniti del titolo dal 2015 ad oggi. La ricerca ha chiesto di valutare, ad esempio, in che modo il programma “Capitale italiana della cultura” abbia ampliato, diversificato e modificato l’offerta culturale delle città, contribuendo alla vivacità culturale; se e come sia stata garantita una migliore accessibilità e si sia ampliato il pubblico di riferimento; come siano cambiati il posizionamento mediatico e l’attrattività turistica; se effettivamente sia stato possibile costruire occasioni di networking e rafforzamento delle reti territoriali.
L’analisi del patrimonio di informazioni raccolte con queste attività contribuisce a restituire il primo e più completo quadro sull’iniziativa. Al contempo definisce un modello di valutazione della sua capacità di attivare cambiamenti culturali e sociali nei territori coinvolti utile per il Ministero e per le città candidate alle future edizioni, tanto nel percorso di candidatura, quanto di realizzazione dei progetti di sviluppo a base culturale.