L’emergenza nelle zone del terremoto nel centro Italia è tutt’altro che finita. Nonostante sia passato un anno, di ricostruzione ancora non si parla. A dire il vero, ancora neanche ci si pensa. I sindaci sono alle prese con la consegna delle casette e gli sforzi per far rimanere (o tornare) gli abitanti in vista del dopo estate. In alcuni paesi neanche si può entrare. In altri, la situazione – pur migliore – è tutt’altro che risolta. Ma c’è un’emergenza nell’emergenza che è forse meno nota, ma non per questo secondaria. Ed è quella che interessa il patrimonio culturale della regione: la storia, le tradizioni e l’eredità di questi territori. Aspetto ovviamente di primaria importanza in un paese come il nostro ricchissimo di tesori e al tempo stesso, purtroppo, esposto ai rischi naturali. Ad Amatrice, ad esempio, su 97 chiese (113 se si considera l’intera Conca amatriciana) ne sono state messe in sicurezza 19 e i recuperi dei beni mobili sono ancora in fase di completamento. Ma Amatrice, che con i suoi 239 morti ha pagato il tributo più alto in termini di vittime, è forse il comune che sta ‘meglio’ dal punto di vista degli interventi sul patrimonio artistico. Ad Accumuli è stata messa in sicurezza solo la torre civica e ad Arquata neanche si può accedere al centro storico. Ma c’è qualcosa che oggi non funziona. La conclusione delle operazioni di recupero e messa in sicurezza appare ancora più incerta e rischia di slittare ulteriormente per l’assenza di Vigili del fuoco. Senza vigili certi interventi, pericolosi per le strutture e gli operatori, sono impossibili. A rischio è la stessa sicurezza delle persone che intervengono. Ma nei comuni del cratere, complice l’ondata di incendi che sta devastando le montagne del Centro Italia, di vigili se ne vedono assai pochi.
I volontari di Legambiente, che nelle Marche sono architetti, restauratori, storici dell’arte, sono anche l’ossatura della protezione civile locale e da quasi un anno partecipano ai sopralluoghi e ai recuperi dei beni culturali nella loro regione. “Senza i vigili del fuoco procedere a certi recuperi è troppo pericoloso – spiegano ad AgCult da Legambiente Marche -. In questo anno di interventi non ci siamo risparmiati, come non si è risparmiato il personale locale del ministero. Abbiamo utilizzato le nostre ferie, le nostre macchine, abbiamo superato ogni ostacolo che si presentava. Ma non si può mettere a rischio l’incolumità delle persone: servono i vigili del fuoco”.
L’appello dei sindaci e il ruolo del Mibact
Ad Amatrice si aspetta il ritorno dei pompieri a braccia aperte: “Io ho richiesto l’invio di nuove squadre anche in virtù dell’allungamento a febbraio dell’emergenza – ha dichiarato ad AgCult Sergio Pirozzi, primo cittadino della capitale degli Spaghetti all’amatriciana -. I tanti incendi hanno dirottato gli agenti sui boschi in fiamme. Prima di questi eventi mi avevano assicurato l’invio di due nuovi contingenti”. Ad Arquata (dove fino a pochi giorni fa ancora non c’era nessun abitante) è l’esercito che sta approntando una rampa per consentire l’accesso alla rocca per effettuare le ricognizioni. Il sindaco, Leandro Petrucci, pur restando ottimista per la risoluzione dell’emergenza, parlando con AgCult si accoda a Pirozzi nella richiesta di nuove squadre di Vigili del Fuoco. Il suo collega e omonimo Stefano Petrucci, primo cittadino di Accumuli, dice ad AgCult che di Vigili del fuoco lui non ne ha neanche uno e che, nonostante tante promesse, nel suo comune solo la Torre civica è stata messa in sicurezza. Ma chi avrebbe dovuto ‘trattenere’ i pompieri nelle zone terremotate per concludere i recuperi e le messe in sicurezza? In base alla normativa vigente, il coordinamento delle operazioni relative al patrimonio culturale in periodo di emergenza spetta al Mibact con le sue declinazioni locali. A L’Aquila, dove il coordinamento era nella mani della Protezione civile, dopo quattro mesi dalle scosse del 6 aprile del 2009 tutto il patrimonio culturale era stato messo in sicurezza o portato nei depositi. In questo caso, a un anno di distanza, le operazioni “di emergenza” sui beni culturali sono ancora lontane da essere concluse. “Hanno cercato di svuotare il sistema della protezione civile. Hanno stravolto tutto il sistema dando le competenze alle Regioni e al Ministero, ma queste strutture non hanno il passo – spiega Pirozzi -. Già in tempo di pace arrancano, figurati in tempo di guerra”.
La Protezione civile e il metodo Augustus
Sì perché in molti considerano questo terremoto molto simile a una guerra. E in tempo di guerra – e di emergenza – non si possono usare norme, criteri e procedure del tempo di pace, rimanendo nel rispetto – è evidente – dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico. Quello dell’Aquila è stato l’ultimo terremoto gestito dal Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri della Protezione civile per quanto riguarda i beni culturali. In quell’occasione Guido Bertolaso portò all’estremo il concetto di ‘emergenza’. A farne le spese negli anni successivi fu il dipartimento della Protezione civile, ripensato (secondo alcuni) o svuotato di competenze (secondo molti altri) proprio per ridurre gli eccessi ‘autoritari’ prodotti nel 2009. Nel terremoto dell’Aquila per la prima volta venne però posto in maniera esplicita il problema del patrimonio culturale danneggiato, del suo recupero (nel caso di beni mobili) e della messa in sicurezza. La Protezione civile, fino al sisma del capoluogo abruzzese, esercitava il coordinamento sugli altri soggetti (vigili del fuoco, forze armate e di polizia, volontari, servizio sanitario, etc) attraverso il cosiddetto Metodo Augustus, documento che delinea con chiarezza un metodo di lavoro semplificato nell’individuazione e nell’attivazione delle procedure per coordinare con efficacia la risposta di protezione civile. Per realizzare tale obiettivo sono istituite apposite “funzioni di supporto” a capo delle quali sono posti dei responsabili, che hanno il dovere di interagire direttamente tra loro ai diversi “tavoli” e nelle sale operative dei vari livelli, e cioè con il COC (Centro Operativo Comunale, responsabile delle attività a livello comunale), con il COM (Centro Operativo Misto), con il CCS (Centro Coordinamento Soccorsi a livello provinciale) e con la DI.COMA.C (Direzione Comando e Controllo, organo decisionale di livello nazionale attivato nelle grandi calamità come nel caso dell’Aquila o dell’ultimo terremoto del Centro Italia). All’Aquila, per la prima volta, venne attivata all’interno del Metodo Augustus una Funzione specifica di ‘salvaguardia beni culturali’.
La Direttiva 23 aprile 2015
Tuttavia oggi, per quanto riguarda i beni culturali, le norme con le indicazioni per operare in situazione di emergenza fanno riferimento alla Direttiva del Mibact del 23 aprile 2015 “Procedure per la gestione delle attività di messa in sicurezza e salvaguardia del patrimonio culturale in caso di emergenze derivanti da calamità naturali”. La nuova Direttiva, s’inserisce all’interno del processo di profonda trasformazione del sistema di protezione civile, rafforzando il ruolo del Mibact, rispetto all’apparato emergenziale precedente, dove la Protezione Civile aveva competenza, come visto, anche sul settore dei beni culturali. Questo documento prevede procedure specifiche che regolano sia le relazioni fra le articolazioni del Ministero, sia quelle con il servizio nazionale della protezione civile. L’attuale normativa delinea un nuovo modello gestionale che individua nell’Uccr-Mibact (unità di crisi regionale che ricalca il modello delle unità di crisi della Farnesina … senza averne però l’esperienza e le professionalità in ambito emergenziale) il soggetto coordinatore ed attuatore delle attività di recupero e messa in sicurezza delle opere. Entrando nel dettaglio delle attività, l’’Uccr-Mibact “su disposizione del segretario regionale, nella sua funzione di coordinatore dell’unità stessa, pianifica ed organizza l’attività di rilievo dei danni e di interventi di messa in sicurezza dei beni immobili e mobili, compresi, per questi ultimi, gli eventuali interventi di recupero, allontanamento, trasferimento in depositi temporanei”.
Sempre all’interno della Direttiva sono descritte le modalità e le professionalità necessarie per le attività di recupero e messa in sicurezza dei beni. “La messa in atto degli interventi sarà effettuata da squadre composte da: un tecnico del Ministero; un funzionario del nucleo NCP dei Vigili del Fuoco (proprio quella figura che è scomparsa dalle zone del terremoto, ndr); personale del Comando Carabinieri del nucleo tutela del patrimonio culturale qualora siano da effettuare spostamenti di beni mobili; eventuale personale esterno adeguatamente formato di supporto alle operazioni, anche appartenente ad organizzazioni di volontariato di protezione civile”. Il personale volontario della Protezione civile che fino a poco tempo fa svolgeva la funzione di coordinamento delle operazioni, adesso viene menzionato nei gruppi di recupero come ultimo soggetto e addirittura “eventuale”.
Un paradosso, questo, ancora più evidente nelle Marche, dove dal 1997 è attivo il primo gruppo di Protezione Civile Beni Culturali, nato da Legambiente, e maturato in questi venti anni grazie a migliaia di ore di formazione e di esercitazioni sul campo (l’ultima proprio il 31 luglio 2016, tre settimane prima del terremoto). Questa comunità operosa è nata proprio in risposta al terremoto Marche e Umbria, e oggi ha permesso di avere centinaia di volontari a disposizione per sostenere le operazioni di recupero dei beni colpiti dal sisma. Un aiuto che in occasione del terremoto del Centro Italia sarebbe potuto arrivare prima: i volontari hanno iniziato ad operare il 7 novembre solo dopo l’ultima grande scossa. Il loro impiego avrebbe permesse di accelerare moltissimo i tempi delle operazioni di recupero, oltre che coinvolgere la comunità marchigiana come parte attiva nella rinascita della propria terra.
Che cosa non ha funzionato in questo terremoto per i Beni culturali
Se è vero che sull’esperienza del passato si costruisce per il futuro, viene da chiedersi perché in Italia ogni volta si debba ricominciare da capo. In occasione del sisma del Centro Italia si è avuta la sensazione che alcune scelte compiute (in questo anno e negli anni che lo hanno preceduto) siano state dettate più dalla voglia di cambiare che dalla ricerca dell’efficienza. La Direttiva del 23 aprile 2015 sembra essere una di queste. E con essa molte delle scelte che ne sono derivate. A monte c’è la decisione di fondo di aver tolto a chi lo ha fatto per decenni la gestione dell’emergenza, affidando le competenze a una struttura (il Ministero dei Beni culturali) che non aveva al suo interno l’esperienza, il personale formato e la capacità dirigenziale per affrontare una catastrofe di questo tipo. A questa va poi aggiunta la scelta politica di aver “militarizzato”, attraverso un uso massiccio di esercito e carabinieri, le fasi di recupero e di messa in sicurezza del patrimonio. Senza, purtroppo, che questi avessero la specifica formazione per tale ruolo.
La formazione dei Carabinieri
I Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, ad esempio, hanno visto cambiare in modo sostanziale il loro ruolo in fase d’emergenza. Infatti, se nelle precedenti emergenze il Comando TPC si limitava a garantire il presidio e la sicurezza delle opere nella fase della movimentazione e nel periodo di giacenza nei depositi temporanei, in quest’ultimo terremoto hanno svolto funzioni di assistenza ai funzionari del Mibact nelle attività di sopralluogo, censimento e movimentazione delle opere. Ruolo e funzioni previste dalla normativa, ma che richiedono un numero cospicuo di personale formato, oggi ancora non presente nell’organico del reparto operativo dei Carabinieri a livello locale.
Le unità di crisi
Sono tante le decisioni che hanno generato lentezze, problemi e inefficienze. A cominciare, nel caso delle Marche, dall’aver previsto la sede dell’Unità di crisi regionale (Uccr) ad Ancona, mentre il terremoto era sui Monti Sibillini a quasi due ore di distanza di macchina. Come del resto non è chiaro perché, sempre nelle Marche, dopo una prima fase di avvio dell’Uccr positiva e veloce, ci sia stata una seconda fase di stallo, perdurata fino al 7 novembre, data d’inizio della reale attivazione della rete dei volontari della protezione civile. Una rete con personale qualificato e dotato di esperienza tenuto fermo per mesi. Non ha funzionato anche l’eccessiva centralizzazione delle decisioni, resa più pesante da una serie infinita di decreti, ordinanze, adempimenti, in una parola da un eccesso di burocrazia. Non ha certo poi contribuito a velocizzare le operazioni l’aver cambiato, in piena emergenza, responsabili e dirigenti, sia del Mibact che della Protezione Civile.
La logistica
Anche dal punto di vista della logistica i problemi sono stati enormi (già aver approntato la Dicomac a Rieti ha comportato enormi disagi visto l’ampliarsi del cratere del sisma). Per non parlare del tema dei depositi che, in molti casi, non sono stati individuati ‘in tempo di pace’ come prescriverebbe la Direttiva del 2015; lasciando che ogni parrocchia, diocesi, comune agisse in modo autonomo, ma senza una reale progettazione ed un controllo della sicurezza delle opere. Per arrivare a un altro problema enorme, quello della formazione del personale che ha operato nel recupero dei beni mobili. A quanto apprende AgCult, per alcuni reperti sarà pressoché impossibile ricostruire l’origine e la collocazione delle opere rimosse senza una catalogazione corretta.
Volontari sentinelle di democrazia
Infine, ed è forse uno degli aspetti più importanti, non si comprende la ragione per cui sia stato relegato a comparsa “eventuale” (come recita la Direttiva del Mibact) il personale volontario della Protezione civile dotato di professionalità specifiche (architetti, restauratori, storici dell’arte, etc.) e che aveva sviluppato negli anni competenze ed esperienze nella gestione delle emergenze. Volontari portatori tra l’altro di uno spiccato senso e interesse civico, caratteristiche alla base dell’azione di controllo da parte della società civile. E il controllo, lo sappiamo, è fondamentale per la democrazia di questo Paese.
Leggi anche:
Un anno dal terremoto, l’esclusivo viaggio di AgCult tra i monumenti distrutti di Amatrice
Amatrice, l’arte terapia in campo per superare il trauma del terremoto nei bambini
Amatrice, quando anche il cinema aiuta a vincere paura e dolore